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emigrazione americaAll’inizio degli anni 50, del 1900, l’emigrazione di massa dalla Calabria verso Australia, Stati Uniti d’America, Canada ed Argentina, determinò la fine del mondo contadino che si era mantenuto essenzialmente integro ed immutato per millenni.
Gli usi, i costumi, la letteratura popolare(fiabe), gli antichi mestieri, la capacità di sopravvivere con poco velocemente cominciarono a scomparire, assieme a tutte le piante che avevano determinato la conservazione di un modello di civiltà statico,ma a misura d’uomo.

contadiniLe “prime vittime” furono le varietà di grano, di legumi e di piante per ortaggi. A questo punto è doveroso menzionare il Triminì (grano strategico che veniva seminato alla fine dell’inverno nelle annate eccessivamente piovose e che maturava a maggio).
Furono più fortunate le pluricentenarie piante di peri, di ulivi, di castagni, di querce a frutto dolce, ma che cominciarono ad essere sacrificate sugli altari di immondi caprai che d’estate incendiarono( e lo fanno tutt’ora ) i campi abbandonati.
Le piante da frutto meno longeve, quali i meli, gli albicocchi, i susini, i fichi, i peschi ecc., sopravvissero stentatamente a ridosso dei villaggi, negli orti o nei piccoli appezzamenti irrigui, mentre le viti da tavola continuarono la loro  esistenza, grazie alle pergole poste davanti alle case, come difesa dalle calure estive. Le piccole vigne condotte da anziani perpetuarono parte degli antichi biotipi presenti sul territorio e portate in Calabria da popoli in fuga, a cominciare dai mitici Pelasgi, che costituirono la civiltà di Enotria (la terra del vino ) 17 generazioni prima della guerra di Troia.
In seguito arrivarono i coloni ellenici dalla Grecia e poi i romani con le loro ville rustiche (fattorie) ricche di essenze arboree di tutto il Mediterraneo ed infine i bizantini che arricchirono ulteriormente il germoplasma della Calabria.
guttuso-mondo contadinoLe istituzioni calabresi mai hanno pensato di organizzare il salvataggio del proprio patrimonio vegetale, istituendo dei campi di conservazione, mentre solo a livello individuale e con enormi sacrifici dei volenterosi lo stanno facendo o lo hanno fatto nel passato; per tutti è doveroso evidenziare l’operato di Domenico Andrieri di S.Giovanni in Fiore, che ha salvato dall’estinzione centinaia di biotipi di meli dell’altipiano silano. Le piante ritrovate vivono a rischio in un campo di conservazione privato, in quanto Andrieri  purtroppo ha gravissimi problemi di salute.
Il tentativo  di costituire una piccola vetrina visiva va nella direzione di sensibilizzare un numero considerevole di persone facendo loro vedere in foto, le immagini dei frutti dimenticati, a rischio d’estinzione.