Nel ricordo del medico Domenico Marando,  Mimì per gli amici e familiari. Oggi avrebbe compiuto 63 anni

mimi ed ernesta 1967 messina copiaCi sono dei giorni in cui il cuore è chiuso e raggomitolato in un angolo della tua anima. Da dove vede scorrere momenti di vita passati, inafferrabili ormai. Momenti carichi di nostalgia avvolti nella malinconia più fitta. Oggi è San Lorenzo, 10 agosto, e per 62 anni questo giorno era per noi una giornata lieta, mai dimenticata. Sempre festeggiata. Era il tuo compleanno oggi, Mimì del nostro cuore.
Ognuno a modo nostro, per come siamo fatti, affrontiamo oggi questa giornata, la prima senza di te, e cerchiamo di gestire i ricordi in modo che non ci travolgano. Ma una cosa è certa. Non c’è giorno che il nostro amore non ti raggiunga dove a noi piace sapere che Tu sia. In un mondo di pace e di luce. Tu uomo buono davvero. Non è retorica. Non ti apparteneva e noi tutti onoriamo la tua memoria. Sai Mimì, nei miei momenti difficili mi rivolgo a te per un aiuto, da quando ci hai lasciato in modo così violento. Perché quando la morte bussa e ti porta via in una manciata di settimane, è una morte violenta. Ci ha violentato. Ci ha annientato. Ma siamo credenti in Dio, molti di noi della tua famiglia e sappiamo che ci stai guardando e guidando da lì, dall'immensità delle stelle.

Ti amiamo Mimì. Ognuno a modo nostro. Ma la vita di noi che ti abbiamo amato e ti amiamo, non è e non sarà più la stessa da quando quel 30 ottobre di nemmeno un anno fa in una mattina, all'improvviso, sei andato in una dimensione che per noi ora è sconosciuta e il solo pensiero che tu sia lì ad attenderci ci da la forza di trattenere le lacrime. Oggi saremo insieme alla tua mamma. Una donna straordinaria. Forte nella sua debolezza, l' immensa fede che ha la sostiene. E pensa, Mimì, è lei che ci consola.

Ciao, Mimì del nostro cuore. Scrivo io questa lettera a te, perché gli altri tuoi cari affrontano il vuoto lasciato da te, immenso, ognuno a modo proprio. In silenzio, tra le lacrime nascoste, lavorando, cercando di condurre una vita come se tu fossi con noi. Negando la tua morte. E' un modo per difendersi e non soccombere al dolore.  Pensare alla tua tomba ci porta all'annientameto. Ti ricordiamo a casa. Nei posti dove tu vivevi. Parliamo con te perchè sappiamo che sei accanto alle persone chje hai amato. Al cimitero no. E' un luogo lugubre, trasandato, abbandonato. Tu e i nostri cari siete nel tabernacolo del nostro cuore. Vi onoriamo per la vostra vita esemplare.

Fratello mio. Perché il nostro rapporto non era di cugini, ma di fratello e sorella. Io ero quella sorella che tu non hai mai avuto. Abbiamo passato la fanciullezza e la gioventù insieme. Gli studi di medicina insieme. Ricordi quando ripassavamo anatomia e litigavamo, puntigliosi come eravamo, simili, sui vari legamenti e articolazioni. Sulle connessioni del sistema nervoso. Un osso durissimo. Per studiare ancora meglio questa parte fondamentale del nostro organismo abbiamo consultato a memoria anche il Delmas. Perchè noi facevamo ricerche. E allora, nei mitici e aperti alla speranza anni '70, non c'era intenet. Nè cellulari. Nemmeno esisteva l'ecografia. Pensa che passi da gigante ha fatto la ricerca. Non ci fermavamo agli appunti. Studiavamo i trattati. Non eravamo d’accordo sulla esatta topografia anatomica o sull'interpretazione di passaggi di fisiologia. Facevamo a gara. Era bello. Eravamo appassionati ai nostri studi. Puliti. Non avevamo tempo e voglia per fare contestazioni giovanili. Erano anni di piombo anche, quelli. Ma noi eravamo anni luce lontani. Chi sui libri e in attesa dei pacchi da casa. I nostri genitori ci tenevano ad accudirci anche a distanza e ci inviavano dalla frutta alla parmigiana. Dai formaggi all'olio. Cari amatissimi genitori. Tuo padre ti ha preceduto nella morte da quasi trent'anni. Anche lui morto giovane. Tuo padre, fratello del mio. Tua madre, sorella della mia. Sempre tutti insieme. Forti legami. Noi cresciuti come fratelli. Eravamo fratelli.

pietro ernesta mimiRicordi la mattina quando abbiamo fatto l’esame di anatomia all’Università "La Sapienza" di Roma che frequentavamo? Stesso cognome. Siamo stati chiamati insieme. Interrogati da due commissioni parallele. Ci siamo scambiate occhiate d’intesa prima di sederci davanti ai professori. Preoccupati. Allora non si scherzava. L’esame di anatomia in sei colloqui tutti lo stesso giorno. Un mattone da studiare. Un trattato in quattro immensi volumi. Il Testut. Non un Bignami ma un’enciclopedia da conoscere a memoria. Esame superato. Abitavamo nello stesso appartamento, con mio fratello che studiava invece ingegneria. Come tutti gli studenti fuori sede anche noi avevamo un appartamento in affitto con i nostri carissimi genitori alle spalle, vigili  attenti ai nostri bisogni. E noi abbiamo cercato di ricambiare la loro fiducia studiando e laureandoci nei tempi regolamentari.

Tu studiavi nella tua stanza da una parte e io nella mia dall’altra. Poi ripassavamo insieme e ci facevamo le domande. E ci accapigliavamo perché ad esempio il punto di repere di un foro sulla tibia era pochi millimetri "più in là" secondo me e secondo te no. … Io sostenevo la mia tesi e tu la tua. Poi prendevamo il libro e questo da giudice dirimeva la questione. Quanti episodi simili.

E ti ricordi la sera, dopo cena e lo studio, concludevamo la giornata con il goco a ping pong usando come tavolo da gioco il tavolo da disegno di mio fratello e facevamo i tornei. Facendo andare fuori di testa la signora del piano di sotto per il saltellare della pallina sul pavimento quando le nostre battute erano sbagliate. Come anche i tornei a freccette col bersaglio, un bel cartellone colorato a cerchi concentrici,  attaccato sul muro del corridoio. Questi erano i nostri momenti di pausa, tra un capitolo e l'altro... Tra lo studio di una arteria e la corteccia cerebrale. 

Ti ricordi quando andavamo insieme agli altri studenti calabresi e anche romani a mangiare  nella trattoria da “Benedetto” sulla Tiburtina, vicino casa nostra, tappezzata da poster di attori da fotoromanzi, convenzionata con l’Università. Con mille lire ci serviva piatti giganteschi di spaghetti alla carbonara o bucatini all'amatriciana e cotoletta. Piatti da camionisti per la nostra sana fame. Dovevamo crescere... Eravamo ragazzi, metabolismo a mille e pensieri di dieta lontani da venire.

Quanti ricordi, Mimì. Sei andato via prima di noi. All’improvviso. Non dovevi. Ma seguiamo la volontà di Dio. Solo così troviamo una ragione per non soccombere al dolore. Io nei miei momenti difficili, sai, mi rivolgo a te. Ti chiedo di aiutarmi. E tu mi aiuti. Lo so. L'ho riscontrato. So che da dove ti trovi ci proteggi. Grazie. Nostra gioia per sempre. Sei la nostra stella. Ernesta

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