antimafia.jpgISTANZA AI SENSI DELL’ART. 50 DELLA COSTITUZIONE mafia.jpg

Contenuto: Considerazioni prolisse sulla legislazione e sull’amministrazione della giustizia con qualche modesta proposta per il risparmio di risorse.

… La mafia, la ‘ndrangheta, la camorra sono diventati obiettivi primari dell’intervento punitivo dello Stato…

... Il Palazzo di Giustizia di Palermo è meglio presidiato del forte del deserto dei tartari, i magistrati scortati non si contano…

… Uno sconosciuto uccide l’onorevole Fortugno. Parte da Roma la Commissione Antimafia (spendendo soldi) con la soluzione preconfezionata del delitto politico mafioso...

… Accade la strage di Duisburg. Parte in pompa magna la Commissione Antimafia e i morti di Duisburg vengono immediatamente catalogati tra vittime e carnefici della faida di San Luca. …

... di un colpo di genio servito a mettere sotto accusa il potente Andreotti e a buttare in carcere il pericolosissimo Contrada? …

... quale l’avvocato Giuseppe Lupis è stato rinviato a giudizio per calunnia ai danni del pm Vincenzo Mollace… quando l’avvocato, da quanto si evince dalle notizie diffuse, presentò qualcosa tra l’esposto e la memoria difensiva, in cui si lamentò del modo in cui era stata gestita la vicenda del suo arresto per porto abusivo di un’arma... ...

punto interrogativo 1.jpgCome mai furono eliminati milioni di cittadini europei di religione ebraica, senza che un’enorme moltitudine di futuri democratici, tra i quali illuminati costituenti, alzasse un dito? La risposta è ovvia.

Tranne pochi fortunati, pochi folli e pochi assetati di potere, gli uomini cercano d’ignorare quello che succede a un palmo dal loro coccige e al limite si scalmanano contro la violazione dei diritti umani in Cina. Non è cattiveria, è paura, forse normale prudenza. Anche gente estremamente stupida può arrampicarsi fino ai vertici di uno dei poteri e fare del male, inventandosi un nemico comune, un capro espiatorio ben definito da abbandonare nel deserto. Bersaglio può essere un uomo, una classe sociale, una confessione religiosa, l’intera popolazione di una o più regioni. L’invenzione del nemico comune è il primo passo verso il potere dei mediocri ambiziosi.

Individuato il colpevole di tutti i mali, dato che le masse sono di facile contentatura, con un piccolo sforzo chi ha voce in capitolo può far finire nella categoria perseguitata chiunque. Basti pensare ai “fascisti” negli anni ’70, quando i giovani ormai non erano stati nemmeno figli della lupa o alla P2 che avrebbe commesso le più tremende nefandezze, senza che poi il cittadino comune riuscisse a capire di quali sataniche stregonerie si fosse macchiata. Ma era una loggia coperta, una società segreta… Immaginate che in quello stesso periodo di terrorismo rosso un poliziotto si presentasse a chiedere gli elenchi degl’iscritti di Lotta Continua o di Potere Operaio, non dico del Partito Comunista.

Purtroppo lo stesso meccanismo vale a ingigantire e a snaturare i fenomeni e a triturare innocenti, anche quando la pericolosità sociale sussiste davvero. Pensate un attimo alla campagna contro i romeni, individuati come categoria pericolosa in sé e per sé, comprendente anche la gentile signora che fa la badante per vostra madre. Ma veniamo ai fenomeni endogeni. La mafia, la ‘ndrangheta, la camorra sono diventati obiettivi primari dell’intervento punitivo dello Stato. E’ più che giusto, ma, come successe al tempo della difesa della razza, un numero infinito di paladini ha afferrato i vessilli della rivolta ideale contro il nemico e non pochi di loro, oltre alla notorietà, hanno conquistato anche il potere e si sono diffusi sul territorio facendo prediche sulla legalità. Sono stati scritti saggi, romanzi, sceneggiati televisivi. La parola mafia, oggi, è scritta in decine di alfabeti di tutto il mondo. In poche parole è stata montata una colossale campagna pubblicitaria che, più o meno consapevolmente, ha fatto diventare ogni delinquente di quartiere un boss, ogni brutale assassino una sorta di superuomo, ha inserito persino la classe infima dei delinquenti, gli sfruttatori di prostitute, nell’”onorata società” calabrese, additata come l’organizzazione criminale più potente del mondo. Nell’ultima relazione antimafia mi sembra che si parli anche di una ‘ndrina di zingari dell’alto Jonio cosentino. In poche parole, si sa che se Giorgio si fosse limitato ad ingaggiare battaglia contro una banda di feroci volgari banditi e non avesse affrontato il drago (o la piovra) difficilmente darebbe divenuto santo.

Confesso che quando fu approvatala legge antimafia, con le sue barocche definizioni, la sua manifesta confusione dei concetti di pericolosità e responsabilità, la sua inesistente armonizzazione con i principi generali del nostro sistema penale, io ebbi più di un dubbio e di una perplessità sia sulla sua efficacia, sia sulla costituzionalità, sia sulla sua mancanza di pericolosità. In nessun altro stato civile sono previste tante forme diverse di reato associativo né viene contestata così frequentemente l’associazione per delinquere. Considerate, ad esempio, se i rapporti tra i presunti correi, nell’ultima indagine che ha visto arrestare il presidente dell’Abruzzo, dovessero essere qualificati come di associazione per delinquere. Il concorso nel reato sembra un concetto assolutamente superato e nessuno si cura di individuare i criteri minimi per la sussistenza del reato associativo. Se i dirigenti di un partito cercassero modi non perfettamente legali di finanziare il proprio partito o la propria corrente, non avrebbero necessità di costituire un’associazione per delinquere ad hoc, ma opererebbero come membri di una qualunque forma associativa che tende prima di tutto a conservare se stessa e a trovare mezzi e sistemi per sopravvivere e svilupparsi. In realtà il codice Rocco con l’art. 416 mirava proprio a combattere le forme stabili ed organiche di associazione criminale, già conosciute e studiate, e non il concorso nel reato pur se continuato.

I miei timori, putroppo, sono stati confermati. Passato un quarto di secolo dalla sua approvazione, la situazione è peggiore di quella degli anni 80. Il Palazzo di Giustizia di Palermo è meglio presidiato del forte del deserto dei tartari, i magistrati scortati non si contano, tutti si affannano a dire che le mafie oggi sono le organizzazioni criminali più potenti del mondo con guadagni superiori alle entrate dello Stato italiano, mentre si sprecano ancora risorse per la Commissione Antimafia (l’argomento merita una trattazione a parte), si fa un uso poco tecnico, in qualche caso irresponsabile, dei cosiddetti collaboratori di giustizia (qualche giorno descriverò il complesso del discepolo fervoroso), s’imbastiscono processi colossali in cui le responsabilità dei singoli spesso vengono delineate in poche scialbe righe, si trascrivono ore e ore di conversazioni intercettate con spese enormi in cui predominano grugniti, gemiti ed esclamazioni interrogative costellati da mille “incomprensibile”, si calpestano tutte le norme sui termini delle indagini preliminari, si consente un sistema investigativo che anticipa le conclusioni delle indagini, non si considera affatto che il gran parlare di mafia a tutti i livelli crea un ambiente in cui l’imparzialità giudiziaria diventa un pio desiderio, sottoposta com’è a sollecitazioni di ogni genere ingigantite dai mezzi di comunicazione di massa. Anche i giudici sono uomini (detto nell’accezione più vasta e nobile del termine e senza alcuna allusione spregiativa) e lo confermano le norme bistrattare sulla legittima suspicione.

Qualche esempio. Uno sconosciuto uccide l’onorevole Fortugno. Parte da Roma la Commissione Antimafia (spendendo soldi) con la soluzione preconfezionata del delitto politico mafioso. Si erigono cippi, s’intitolano piazze, strade e sedi di sindacato e di partito.
punto int 10.jpgSi può pensare davvero che le indagini possano non essere state irrimediabilmente condizionate? Si può escludere che un tizio qualunque, spinto da rancori personali contro la vittima, non abbia approfittato del fatto che è scontata la tendenza di attribuire a priori, nella Locride, ogni fatto grave alla ‘ndrangheta? Oppure si può sostenere ancora, con esemplare facciatosta e senza prove, che il povero dottore è stato ucciso per mandare un messaggio al governatore Lojero, che, tra l’altro, non l’avrebbe capito, altrimenti dovrebbe essere arrestato per favoreggiamento? E’ possibile che il governatore non si lamenti di questa tesi, che potrebbe avallare la supposizione che egli si è adattato ai voleri degli assassini e per questo non è stato assassinato a sua volta e non quereli chi la sostiene?

La vera tragedia è che tutti considerano prudente non fare storie e lasciare che si sbizzarriscano le innumerevoli coorti di esperti dello Stivale e dei loro stivali. Non voglio parlare di tutte le fantasiose tesi, enunciate anche da personaggi autorevoli, che il giornalista Fierro ha consegnato alla storia nel suo libro “Ammazzati l’onorevole”, ma consiglio a tutti i signori parlamentari di leggerlo e chiedersi se possano rimanere inerti davanti a una situazione così drogata della pubblica opinione. Quando al mio amico, componente della commissione antimafia in passate legislature, ho chiesto perché lui non avesse reagito quando qualcuno dei personaggi ascoltati le sparava grosse, ho avuto come risposta: “Sarebbe stato politicamente scorretto, Non potevo permettermi di lasciare intendere che non ci fosse compattezza tra i poteri dello Stato”. E che cosa avrei dovuto obiettare?. In questi giorni si trascina ancora stancamente il dibattimento in primo grado sull’omicidio Fortugno ed anche i meno accorti capiscono che un processo per un reato non può durare un anno, se è previsto che le indagini devono durare sei mesi ed essere prorogate al massimo fino a due anni. Non sarebbe il caso di regolare meglio la conduzione dei processi, stabilendo un ordine certo per la disamina della prova generica e di quella specifica ed eliminando tutto il ciarpame?

Accade la strage di Duisburg. Parte in pompa magna la Commissione Antimafia e i morti di
punto int 5.jpgDuisburg vengono immediatamente catalogati tra vittime e carnefici della faida di San Luca. E se tra loro ci fossero delle persone coinvolte nella strage per puro caso?
E se tutti o alcuni fossero stati uccisi da una banda rivale di trafficanti turchi o slavi per tutt’altro motivo? E’ corretto questo intervento di un organo politico quando le indagini sono ancora calde? E soprattutto è stato opportuno buttare via soldi pubblici per andare in Germania a scoprire qualcosa sul codice penale tedesco e sulle competenze della polizia dei Länder, quando bastava recarsi a piedi alla Libreria Herder e comprare un libro di qualche euro, ammesso che la Biblioteca di Montecitorio ne fosse sprovvista, e farselo leggere dall’onorevole Peterlini? Oppure dovevamo proprio costringere i tedeschi a dirci, come accade in questi giorni, che loro hanno bisogno di prove o non delle frottole raccontate dagli italiani?

Quanto tempo ci vorrà ancora per scoprire che la cosiddetta intelligence criminale deve essere appannaggio di tecnici accuratamente selezionati e qualificati e i suoi risultati devono rimanere riservati a chi opera e non possono essere oggetto di libri di improvvisati esperti, di chiacchiericcio, di dichiarazioni con finalità politiche? Oppure si pensa davvero che i pareri ufficiali di autorità e istituzioni, sbandierati in tutti i modi possibili, siano del tutto irrilevanti per la scelta delle tattiche e delle strategie non solo delle organizzazioni criminali ma anche dei semplici occasionali delinquenti? Se io fossi un imprenditore taglieggiato di Locri e volessi liberarmi del mio persecutore con una pistolettata, non saprei a priori, in questo clima in cui i luoghi comuni sgorgano copiosi dalle bocche di tutti, che il mio delitto sarebbe attribuito alla quarantennale faida della cittadina in cui vivo e che pensare a una soluzione diversa sarebbe politicamente scorretto? E’ possibile che si è ancora così ciechi da considerare validi risultati di analisi criminale, che facevano già parte della storia quando furono elaborati cinquant’anni fa? O ancora ha qualche utilità raccogliere da pentiti notizie su formule d’iniziazione alla carriera criminale? A nessuno viene in mente che qualunque fenomeno sociale subisce modifiche ed evoluzioni per il semplice fatto di venire osservato e studiato? Oppure si pensa che i delinquenti siano tutti minorati psichici che non sappiano reagire col mutare della situazione e non sappiano approfittare degli errori delle forze che a loro si contrappongono? Ancora a nessuno entra in testa che l’analisi criminale non può essere affidata a un organo giudiziario e che sarebbe bene abrogare la legge sulla Direzione Nazionale Antimafia?

punto int 6.jpg In questa ubriacatura generale può accadere di tutto, persino che s’individui un delitto illogico, nell’indifferenza generale, nel clima di guerra santa contro la mafia, il famigerato concorso esterno in associazione mafiosa. Ma chi sono io per criticare il risultato degli sforzi dottrinali di persone illustri, di una giurisprudenza elaborata ai massimi livelli, di un colpo di genio servito a mettere sotto accusa il potente Andreotti e a buttare in carcere il pericolosissimo Contrada?
Eppure chiunque abbia una mezza idea di quali rischi comportasse la lotta alla mafia nei periodi anteriori a quelli del pentitismo prezzolato (si veda l’ultima relazione della Commissione Antimafia sul mantenimento dello stesso tenore di vita dei collaboratori di giustizia) e come si dovesse operare per avere qualche confidenza dall’interno dell’organizzazione, sa benissimo che Contrada potrebbe rispondere “Feci sed iure feci, mettendo a rischio mille volte la mia vita” ed uscirne con tutti gli onori e non marcire in carcere o languire agli arresti domiciliari. A nessuno, nemmeno, viene in mente che ancora negli anni ’60 si studiava sui testi universitari la tesi della Cassazione che l’essere mafioso non costituiva di per sé reato?

A proposito del concorso esterno mi piacerebbe dire (sarebbe una bella battuta), citando Cino da Pistoia, che critica il suo venerato maestro Jacques de Belleperche: “Etiamsi mille hoc dixissent, omnes erraverunt”, ma molto più umilmente dico che sono il cittadino comune che deve rispettare la norma penale e che non potrà mai essere distolto dalla certezza che non si può concorrere dall’esterno in un’associazione mafiosa, quando la fattispecie prevede espressamente che se ne debba far parte. Sarebbe come dire che è punito con una certa pena chiunque fa parte di un’associazione mafiosa senza farne parte… Sono previsti il delitto di favoreggiamento reale e quello di favoreggiamento personale e, se tali delitti sono prescritti, nessuno può essere autorizzato a spendere una sola lira dello stato per indagini e processi, anche se dietro di sé ha l’Arcangelo Gabriele che lo pungola con la spada fiammeggiante.

Mi perdonerà il Signor Presidente Oscar Luigi Scalfaro, se non condivido i suoi entusiasmi per la nostra carta costituzionale, che non ha strumenti per colpire comportamenti materialmente incostituzionali. Qual è il rimedio per un cittadino che viene condannato per un delitto non espressamente previsto dalla legge, cioè il concorso esterno in associazione mafiosa? E’ possibile che la dottrina non si sia appassionata al tema? E’ possibile che il Parlamento, anche se dalla Costituzione è scomparso l’articolo dello Statuto albertino che gli attribuiva il potere dell’interpretazione autentica della legge, abbia accettato supinamente la situazione? E’ possibile che il Presidente della Repubblica, massimo garante della Costituzione, non abbia il potere di annullare una sentenza materialmente incostituzionale e debba ricorrere alla grazia, se pensa di eliminare un grave torto?

Voglio chiarire bene una cosa. Sono abbastanza vecchio per prendermela con i singoli, che possono essere cretini o intelligenti, eroi coscienti o vigliacchi inconsci, geni sregolati o idioti diligenti, persone consapevoli della loro impotenza di opporsi al sistema o tromboni illusi dell’importanza di un ruolo diventato mera routine e da sempre intenti solo ad insufflare il loro ego. La verità è che chiunque è sempre fortemente condizionato dalla prassi e dalle abitudini, che riecono a far vedere il bianco nero e il quadrato rotondo. La vita è così. Io odio le gravi anomalie del sistema, che fa perdere tempo a scrutare con microscopi la pagliuzza che volteggia nell’aria e ad ignorare la trave che cade addosso, ad esaltare l presunti successi, senza chiedere quanto valgano in sostanza e quanto siano costati. Mi fa paura la mancanza assoluta di volontà e forse di coraggio di osservare con obiettività i fenomeni che si sviluppano sotto i nostri occhi. Mi terrorizzano, poi, gli esecutori che, per compiacere i capi, sono capaci di commettere crudeli idiozie e qualche esempio si è già avuto nella storia, nel recente passato e purtroppo si registra anche nel presente.

E’ possibile che nessuno voglia capire che i risparmi sulla spesa pubblica non si possono ottenere diminuendo di una certa percentuale la somma stanziata l’anno precedente, ma piuttosto eliminando un’attività del tutto inutile, anzi talvolta dannosa?

punto int 7.jpg Prendiamo, ad esempio, una notizia apparsa in questi giorni di estate sui quotidiani locali calabresi, secondo la quale l’avvocato Giuseppe Lupis è stato rinviato a giudizio per calunnia ai danni pm Vincenzo Mollace in data presumibilmente di poco anteriore al 12 luglio 2008 per un fatto presumibilmente risalente al mese di gennaio 2004, quando l’avvocato, da quanto si evince dalle notizie diffuse, presentò qualcosa tra l’esposto e la memoria difensiva, in cui si lamentò del modo in cui era stata gestita la vicenda del suo arresto per porto abusivo di un’arma, sembra una piccola pistola da borsetta.


Ricordiamo che la Costituzione all’art. 24 afferma solennemente che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e che il principio di parità di condizione tra accusa e difesa imporrebbe di giudicare per calunnia anche il rappresentante dell’accusa che scientemente accusasse un soggetto senza averne le prove, un soggetto cioè tecnicamente e formalmente innocente.

Lasciando perdere quest’aspetto, che ci consentirebbe di risparmiare miliardi sprecati in avventure processuali discutibili, consideriamo che un cittadino normale come me, che abbia solo un’infarinatura di legge, soprattutto dopo la conclamata destituzione (tra parentesi non posso non nutrire qualche perplessità sull’esattezza della notizia) del giudice Pinatto per ritardo nella motivazione di una sentenza, non può non porsi diverse domande alle quali forse anche giornalisti leggermente più curiosi avrebbero dovuto dare risposta:

- come mai questo rinvio a giudizio arriva dopo quattro anni dal fatto, dato che le indagini preliminari dovevano essere concluse quattro anni fa, quando l’avvocato subì un periodo di detenzione di qualche mese quale indagato per lo stesso reato? Quali atti istruttori vennero compiuti in quei giorni che non potessero essere compiuti prima e quali atti sono stati necessari dopo? E se non è stato necessario un gran lavoro da quel periodo, un provvedimento di poche pagine può essere rinviato per tre/quattro anni e una sentenza di forse ottocento pagine non può essere attesa per otto anni?

-
come mai il professionista venne sottoposto alla più grave delle misure cautelari, dal momento che il fatto attribuitogli era documentato in un atto ufficiale sicuramente autentico e, di fatto, era impossibile l’inquinamento delle prove, mentre il pericolo di fuga non poteva essere nemmeno preso in considerazione (la custodia in carcere non poteva essere ragionevolmente mantenuta fino al passaggio in giudicato della sentenza e un tentativo di sottrarsi alla pena sarebbe stato più fortemente motivato dall’eventuale consolidamento del quadro probatorio). Risibile, infine, sarebbe stata la presunta esigenza di impedire la reiterazione del delitto, considerato che il fatto era stato commesso in stato di detenzione e che, ringraziando Iddio e la disattenzione di un certo tipo di legislatore, ancora non è prevista la misura cautelare del bavaglio o dell’immobilizzazione forzata della mano che scrive;

- quale delitto (tra parentesi non ho letto mai notizie precise su alcun giornale e sono molto curioso di saperlo) l’avvocato attribuì al pm che procedeva, quando e per quale reato lo stesso pm venne iscritto nel registro degl’indagati, e in che stato e dove si trova il procedimento relativo? A prescindere dall’innocenza, che diamo per scontata del pm, è evidente che il principio di obbligatorietà dell’azione penale non lasciava alcuna discrezionalità al procuratore capo, a meno che egli non ritenesse che l’atto dell’avvocato non fosse né una denuncia, né una querela né un’istanza ai sensi dell’art. 368 del codice penale e non costituisse elemento materiale del delitto di calunnia. Con quale formula è stato prosciolto il magistrato incriminato? Per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o per quale altro motivo?

Il fatto presenta elementi preoccupanti anche alle sue origini, ma come cittadino mi preme considerare soprattutto un altro aspetto. Qualche secolo fa un feudatario di Ardore, in tempi considerati più feroci, decise saggiamente che non avrebbe fatto arrestare le persone chiamate in giudizio per risparmiare sulle spese. Oggi non abbiamo esigenze simili? L’attuale codice di rito non doveva indurre ad adeguarsi al principio che la custodia cautelare in carcere era l’extrema ratio, a cui ricorrere in caso di assoluta necessità in ossequio al principio costituzionale della presunzione d’innocenza e forse anche a quello, meno nobile ma ugualmente essenziale in una situazione spaventosa della spesa pubblica, d’impiego legittimo e oculato delle risorse?
Leggo in questi giorni su un giornale che un detenuto costa allo Stato 400 euro al giorno, cifra che mi sembra esagerata ma forse non lo è. Se la cifra non è del tutto irreale, non vi pare che il buonsenso consiglierebbe di non buttare tanti soldi per tenere in custodia preventiva un professionista che non ha ucciso nessuno, non ha rapinato nessuno, non ha stuprato nessuno, ma ha solo espresso delle opinioni in un atto di autodifesa? O un presidente di un consiglio regionale o il governatore di una regione, che non hanno distrutto un treno per puro spirito vandalico e non hanno torturato per perversione nessun bambino? O forse, ora che sono passati un po’ di anni, non sarebbe il caso di chiedersi quanti degli arrestati nel corso di Tangentopoli, hanno poi dovuto scontare pene detentive?

Se proprio devo essere franco ed esprimere il mio parere, mi spingo ancora oltre. Se, per disgrazia dei miei concittadini, dovessi per un giorno essere il legislatore, commuterei immediatamente con l’espulsione tutte le condanne di stranieri per delitti privi di vittime o commessi per motivi etnici o religiosi, come l’assassinio della giovane pakistana da parte dei congiunti, senza dimenticare che, già vigente l’attuale Costituzione, in Italia, si giustificava ancora l’omicidio per motivi d’onore. Non riesco a capire perché, per obbedire alla retorica sulla droga, lo Stato debba sobbarcarsi il mantenimento a un prezzo spropositato in carceri sovraffollate e in condizioni pietose, di un miserabile tunisino, di un marocchino spiantato o di un disperato albanese che abbia venduto della cocaina a un attempato vizioso o a un giovane danaroso che vuole una vita spericolata e che non solo non è punito, ma causa allo Stato spese per la cura e il recupero oppure a una cantante irresponsabile che si è vantata di essersi fatta una canna durante una trasmissione televisiva.

Perché parlo del caso dell’avvocato? Prima di tutto perché è un caso di cui si è parlato tanto nella Locride e che, se non erro, è stato anche oggetto di un’interrogazione parlamentare. La gente si chiede:” Se questo può succedere a un avvocato che in qualche modo è riuscito a portare il suo caso all’attenzione del parlamento, a me cosa potrebbe capitare anche per un malinteso, dato che non sono nessuno ?”. Insomma, di fronte a qualcosa che viene considerata una stortura, si ha bisogno di sperare che, se il vertice la conoscesse, si affretterebbe a raddrizzarla. Questo, però, avviene raramente, anzi mai e sappiamo in quale clima surreale di noia si risponde con termini burocratici alle interrogazioni parlamentari. La cosa tragica è che tutti lo sanno, come tutti sanno che tutta la montatura sull’ospedale di Locri e sul dominio della ‘ndrangheta nascondono storie di normali favoritismi, qualche volta di usuale corruzione, problemi generali d’inefficienza delle strutture e di inadeguatezza delle normative, lotte politiche interne eccetera eccetera eccetera e che il sistema degli accertamenti fatti con il bulldozer ha fatto di tutte le erbe un fascio. Mi risulta che qualcuno si è lamentato, ma che non ha ottenuto ancora nessuna risposta in merito alla richiesta di correzione delle notizie riportate sul suo conto.

C’è ancora un’altra cosa da dire. Le leggi o si applicano o, se sono inutili o inapplicabili si abrogano, non s’interpretano sulla base del principio che si fa quel che si può. Se il pm deve concludere le indagini entro sei mesi, un disgraziato non deve aspettare cinque anni per essere prosciolto da un’accusa stupida e prendere l’infarto perché, pur conscio della propria assoluta innocenza, ogni volta che vede una macchina dei carabinieri pensa che stiano andando ad arrestare lui e non sto parlando di teoria, parlo del caso reale di un amico. E’ la prassi investigativa che deve adattarsi alla legge e non la legge alla prassi più comoda, soprattutto quando la legge prevede regole precise sulla riunione e sulla separazione dei procedimenti. Se il pm deve procedere agli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone ai sensi dell’art. 354 del codice di rito, non si può ingarbugliare al secondo comma quello che si è detto al primo dello stesso articolo. I doveri e i poteri della polizia devono essere chiari e non confusi con quelli del pm, altrimenti succede quel che è successo a Palermo dopo l’arresto di Riina. La perquisizione nell’abitazione di una persona arrestata in esecuzione di un ordine non è un atto dovuto automatico, ma deve corrispondere al soddisfacimento di un’esigenza istruttoria riguardante uno specifico reato individuata da chi ha la direzione delle indagini, cioè dal pubblico ministero e se questi non la ordina lascia alla polizia il potere di agire sulla base di un criterio di utilità e convenienza ed eventualmente di fare una scelta infelice. E ancora, considerando altri casi, se è previsto che, ai sensi dell’art 358 del codice di procedura penale, il pubblico ministero svolge accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona indagata, deve mettersi in condizione di farlo, non appena viene informato e di fatto assume la direzione delle indagini perchè gli accertamenti a favore potrebbero essere tanto urgenti quanto quelli quelli contro.

punto int 9.jpg Un altro esempio. Non vi sembra che sia assurdo permettere che un magistrato, dopo mille indagini sul tema abortite miseramente e spese enormi, chieda a tutte le prefetture di trasmettergli gli elenchi dei massoni presenti nel territorio di loro competenza? In una repubblica, che ha anche approvato una legge sulla tutela dei dati personali, le prefetture dovrebbero rispondere che non sono dati di cui abbiano la disponibilità e che non sono organi di polizia giudiziaria di cui il magistrato possa disporre direttamente ai fini dello svolgimento d’indagini. E invece immagino, augurandomi di sbagliare, che il clima di dipendenza psicologica è tale che nessuno ha osato obiettare. Lascio alla prudente stima di chi legge quanto tempo debbano perdere le prefetture per chiedere alle forze di polizia di fare indagini sull’agomento e poi mettere insieme i risultati. Una notizia di questo genere dovrebbe, inoltre, apparire sui giornali? E se appare, il Consiglio Superiore della Magistratura e la Corte dei Conti, che sicuramente spendono dei soldi per la rassegna stampa non dovrebbero preoccuparsi almeno un po’? Intendiamoci, io non sono massone. Sono così terrorizzato dal gregarismo, che non ero nemmeno iscritto all’Azione Cattolica, quando servivo messa ogni mattina. Se fossi massone, chiederei per quale motivo si fanno indagini sul mio conto, quando sono stato iscritto sul registro degli indagati e per quale reato. O forse non farei niente, perché avrei paura di ritorsioni e non potrei avvelenarmi dieci anni di vita prima di veder riconosciute le mie ragioni! Anche perché per ragioni anagrafiche non credo che mi restino dieci anni da vivere.

Mi perdoni ancora, il Signor Presidente Scalfaro, paladino della magistratura e della Costituzione, ma il principio dell’inviolabilità della libertà personale, superabile solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge e l’altro divieto di distogliere chicchessia dal proprio giudice naturale, possano consentire (faccio un esempio a caso) a un giudice di Canicattì (si fa per dire), non in un caso di urgenza ma dopo lunghe indagini preliminari, di disporre la custodia cautelare in carcere di un cittadino per un fatto commesso a Campione d’Italia? Se è così, i due principi costituzionali sono del tutto inutili e le regole sulla competenza sono del tutto irrilevanti. Un magistrato con un po’ di fantasia potrebbe alzarsi la mattina e andare a cercarsi gl’indagati là dove ha deciso di trascorrere le ferie. Lo farebbe impunemente e dobbiamo solo ringraziare Iddio che fra i magistrati non esistono soggetti irresponsabili. E’ difficile stabilire che il pubblico ministero, quando viene a conoscenza di un fatto non rientrante nella sua competenza territoriale, deve trasmettere immediatamente gli atti e le notizie di reato alla procura competente e il gip deve dichiarare immediatamente la propria incompetenza e agire allo stesso modo? Oppure, per evitare la discovery, come ho visto scritto sui giornali con vezzoso anglicismo, deve tenere tutto per sé? Oppure deve allungare il brodo finchè nelle maglie della rete non restino impigliati un presunto squalo, un mancato re e una miriade di pesciolini innocenti o presunti colpevoli, dato che l’uomo nasce comunque col peccato originale? Infine, è irragionevole stabilire che chiunque, accusa o difesa o parte civile, debba astenersi da ogni considerazione di carattere morale e ragionare solo su concetti giuridici, invece di usare formule allusive come comitato d’affari, cupola massonica, ndrangheta hospital, clinica degli orrori o depistaggio (famoso delitto inventato qualche decennio fa per distruggere i servizi di sicurezza) ed altre fantasie simili?

punto int 8.jpg Tornando alle norme sulla competenza, perché lo Stato dovrebbe affrontare le maggiori spese che ne derivano e gl’imputati i maggiori disagi e le maggiori spese che sono conseguenza di uno spostamento del centro d’indagini in un zona lontana del territorio? Perché noi Italiani non badiamo a spese, soprattutto per le cose inutili. Mi viene proprio in mente in questo momento che un magistrato siciliano avrebbe nominato (dicono i giornali) un consulente per stabilire se una decina di anni fa, più o meno, un ufficiale dei carabinieri avrebbe dovuto dar retta a una notizia confidenziale e, se dando retta, avrebbe potuto catturare un latitante. Questo almeno si capisce dalle notizie diffuse dai giornali. Mi chiedo quale tipo di titolo accademico debba avere e quanto costi un consulente simile, per decidere a posteriori se in un dato momento storico non solo fosse possibile, ma anche opportuno investire in risorse umane e materiali per raggiungere un ipotetico obiettivo e, soprattutto, se spetti a un giudice interferire così pesantemente in scelte operative che non sono di sua competenza.

Credo che occorra scavezzare il buonsenso. I tempi della giustizia sono ormai inaccettabili e i risultati fallimentari, quindi bisogna in qualche modo provvedere, sebbene l’onorevole Di Pietro pensi che bisogna lasciar perdere la riforma della giustizia e pensare all’economia. E chi gli vieta di spremersi le meningi, presentare brillanti proposte e salvare l’Italia dalla bancarotta? Le faccia e il Parlamento saprà decidere. Il Parlamento e non i corridoi dei ministeri e la miriade di uffici, destinati a burocratizzare ogni iniziativa legislativa o a dar forma di legge ad inapplicabili regole, solo perché sembri che si faccia qualcosa.

Lasciando da parte i massimi sistemi e arrivando al sodo, io mi limito a una modesta proposta, tra le mille possibili per togliere peso anche all’alibi del superlavoro e far concentrare l’attenzione sulle cose serie.
punto escl 5.jpgEliminando l’obbligo della polizia di informare le procure dei delitti commessi da ignoti e stabilendo che l’obbligo di esercizio dell’azione penale, come quello di rapporto giudiziario, sussiste solo quando si debba iscrivere un soggetto nel registro degl’indagati, si risparmierebbe tanto tempo e tanto denaro. In un anno per un milione di delitti ad opera d’ignoti (in genere furti e danneggiamenti) le forze di polizia debbono impiegare almeno due/tre milioni di fogli di carta per informare l’A.G., un certo numero di metri cubi di spazio presso i palazzi di giustizia viene intasato per oltre 50 anni e procuratori e gip (ignorando i loro collaboratori e poi le imprese di facchinaggio), se solertissimi, devono spendere almeno 5 minuti di lavoro ciascuno per le incombenze formali dell’archiviazione, cioè 10 milioni di minuti, pari a 166.666 ore, di lavoro del tutto improduttivo, anche perché, se il giorno successivo all’archiviazione del procedimento si scoprisse il colpevole e il reato non fosse estinto, l’atto di archiviazione non avrebbe alcuna efficacia preclusiva. Se poi i magistrati impiegassero meno di cinque minuti, cioè scarabocchiassero distrattamente solo una sigla su un foglio predisposto dagli impiegati dipendenti, allora la dimostrazione dell’inutilità del lavoro sarebbe in re ipsa. Mi astengo dal considerare altre conseguenze burocratiche, dalle statistiche al rilascio di certificati. Se poi si pensa che il pubblico ministero possa precipitarsi a cercare una macchina rubata, allora si possono lasciare le cose come stanno.
E’ chiaro che il cittadino, che non si fidasse della polizia, potrebbe presentare la sua denuncia direttamente alla Procura della Repubblica. Il problema, poi, dell’impiego delle forze di polizia dovrebbe trovare soluzioni adeguate nel più vasto ambito delle esigenze di svecchiamento della pubblica amministrazione…


Mi piacerebbe, pure, che in questa materia tutti dimenticassero di essere costretti a fare l’opposizione all’attuale presidente del consiglio. Sui diritti costituzionali non si dovrebbe affatto scherzare e scendere a compromessi. O si?

Giovanni Scali Via Margherita di Savoia 13 Locri