Omelia nella Commemorazione dei Defunti - Lodi, Basilica di San Pietro, 2 novembre 2006

crisantemo.jpgIl 2 novembre per noi cristiani è il giorno del ricordo e soprattutto della preghiera 2  novembre grotte vaticane px 150.jpgper i defunti. Tutti  i giorni, specialmente nella celebrazione eucaristica, la Chiesa ci invita alla preghiera per i defunti, ma oggi lo fa in modo del tutto particolare. Anche noi questa mattina, qui in Basilica, vogliamo pregare per i nostri defunti, in particolare per i Vescovi che hanno guidato la Chiesa.
 
La preghiera per i defunti costituisce un gesto di sublime carità. Pregare per i defunti, ci ricorda la sacra Scrittura: “E' un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione” (2Mac 12,43). Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che“coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati…vengono sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo” (n. 1030).

La preghiera di noi credenti ancora pellegrini su questa terra, insieme alle elemosine e alle indulgenze, costituisce un potente mezzo per aiutare i defunti in questa intima purificazione della loro persona, affinché possano giungere alla visione del Volto di Dio.

S Giovanni Crisostomo affermava che pregare per i defunti significa “recare loro conforto”. E’ dunque lodevole il nostro pregare oggi e tutti i giorni per le anime dei nostri defunti, soprattutto mediante la partecipazione alla s. Messa, la preghiera di suffragio per eccellenza.

Oltre che giorno di preghiera, quello odierno è giorno che ci invita alla riflessione sul tema della morte e sul senso della vita. “La società postmoderna – leggiamo in un intervento su una rivista di vita pastorale – tende a occultare o a rimuovere il fatto universale della morte e le sue inevitabili provocazioni per tutti. La morte diventa sempre più un fatto biologico, assoggettato a una normativa particolareggiata negli aspetti tecnici, ma con sempre meno apertura al senso del mistero della vita e al suo traguardo finale”.

Alla riflessione, invece, sul senso cristiano della vita e della morte, ci invitano le letture bibliche cha abbiamo appena ascoltato. Nella prima lettura Giobbe, provato nella carne fino allo sfinimento e alla morte, e abbandonato da tutti, esplode in un grido di fiducia e di speranza in Dio: “Dopo che questa mia pelle sarà distrutta…vedrò Dio. Io lo vedrò…e i miei occhi lo contempleranno non da straniero”. Giobbe diventa così un profeta che annuncia la speranza nella vita eterna, quella speranza che troverà il suo fondamento, come ci ricorda la pagina evangelica, nella risurrezione di Gesù: “Chiunque vede e crede nel Figlio ha la vita eterna”.

Cari fratelli e sorelle, la fede della Chiesa ci assicura che è la vita, non la morte, ad avere l’ultima parola sull’esistenza dell’uomo. Per questo, la morte va considerata non soltanto come termine naturale dell’esistenza, ma come inizio di un modo nuovo di vivere che ci è sconosciuto, ma nel quale Dio abita. Diversamente dalla visione materialista dell’essere umano (tutto finisce con la morte), per i cristiani la morte non è un termine ma un passaggio; un passaggio certo doloroso ma pur sempre un passaggio verso un’altra vita (una vita buona), dove grazie a Dio e con Dio ci si troverà di nuovo con i fratelli che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace. “Per coloro che credono in te, o Signore, – leggiamo nel prefazio I dei defunti – la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”.

La morte non separa: essa riunisce presso Dio e in Dio coloro che si sono addormentati nella fede. La morte non è angoscia straziante, separazione disperata, ma passaggio verso l’incontro definitivo con Dio. Si legge nel medesimo intervento sulla già citata rivista di vita pastorale (un testo che abbiamo citato anche ieri pomeriggio al Cimitero): “La morte è come l’ultima porta di un labirinto (la vita), di fronte alla quale si prova contemporaneamente curiosità e paura: un mistero fascinoso e insieme terribile. Gesù ha aperto una volta per tutte questa porta, l’ha varcata e poi è tornato indietro, per prenderci per mano e attraversarla insieme verso la luce e la vita. Questa porta ormai non separa più ma unisce, introduce non in qualcosa di meno ma in qualcosa di più. Le lacrime piante per la perdita di chi ci lascia sono preziosa acqua per far crescere il seme: si portano fiori ai defunti perchè i trapassati li sentiamo misteriosamente presenti”. E ancora: “La memoria delle persone care, con il suo peso di dolore, riporta all’essenziale dell’esistenza: l’urgenza di amare ora, la capacità di sognare un’altra alba, per avere ancora la possibilità di continuare ad amare...”.

Tutto questo ce lo assicura Gesù Cristo, che con la sua risurrezione ha fatto scaturire la vita dalla morte. “Io sono la risurrezione e la vita – egli ha detto – Chi crede in me, anche se muore, vivrà”.
Cristo è risorto! È l’annuncio che risuona ogni anno nella notte di Pasqua. In quella santissima notte la luce del grande cero illumina il buio della notte, la luce di Cristo risorto dissipa le tenebre dell’angoscia e della disperazione di fronte alla morte. Questo annuncio che dice il fulcro della nostra speranza nella vita oltre la morte, risuoni anche oggi, in questa giornata in cui ricordiamo e preghiamo per i nostri cari defunti.

jesus px 200.jpgIl Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.


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