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generale bruno contrada CON IL RITORNO, COME TESTIMONE, IN UN’AULA DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI PALERMO IL DR. BRUNO CONTRADA INCONTRERA’ NUOVAMENTE  IN UN PROCESSO IL DR. ANTONIO INGROIA LO STESSO P.M.  CHE A GENNAIO 1996 NE CHIESE LA CONDANNA – NON SAPPIAMO COSA DIRA’ IL DR. CONTRADA MA SALUTIAMO IL SUO RITORNO AL RUOLO  NATURALE  DAL QUALE VENNE ALLONTANATO CON LE FALSE ACCUSE E LA PERSECUZIONE GIUDIZIARIA CON CUI LA GIUSTIZIA FU PROSTITUITA AI PENTISTI.

Una nota d’agenzia da PALERMO: “In aula il prossimo 17 novembre Contrada testimone al processo contro Toto' Riina/ L'ex agente del Sisde e' attualmente agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa: Palermo - L'ex agente dei servizi segreti Bruno Contrada deporrà il prossimo 17 novembre al processo contro Totò Riina. Attualmente agli arresti domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa, Contrada deporrà nell'aula bunker di Palermo contro quello che è considerato il boss dei boss della mafia siciliana. Proprio come il boss dei Corleonesi, anche Contrada venne indagato nei primi anni '90 in seguito alle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, collaboratore del giudice Falcone. Membro del Sisde dal 1982, Contrada ricoprì ruoli di primo piano come dirigente dei servizi segreti in Sicilia, Sardegna e Lazio.


Il processo è quello nel quale svolge le funzioni di p.m. Antonino Ingroia per – si fa per dire – “fare luce”, trentotto anni dopo, sulla scomparsa del giornalista dell’Ora di PALERMO, Mauro DE MAURO. E’ ciò che ci porta a risalire indietro nel tempo, a Gennaio 1996. A  Padova, nell'udienza per l'ultimo troncone del maxiprocesso istruito da Falcone, il pentito Vincenzo De Caro ha detto che nel '79 il boss Rosario Riccobono voleva uccidere Bruno Contrada, allora capo della Squadra Mobile di Palermo, in modo da fare ricadere la colpa su Gaspare Mutolo, che era stato arrestato per opera di Contrada. A Palermo era ancora in corso il processo a CONTRADA per la pretesa associazione mafiosa. Tra le accuse quella di essere stato amico del boss Riccobono. Ciò nonostante il 19 Gennaio 1996.  Al processo contro Bruno Contrada,  il PM Antonio Ingroia ne chiese la condanna a 12 anni, invece di richiedere la riapertura del procedimento anche solo per acquisire le dichiarazioni rese da DE CARO  a PADOVA e riavviare l’istruttoria dibattimentale. Il 21Febbraio 1996, al processo per la strage di Capaci, Gaspare Mutolo dichiarò che nel luglio del 1992, mentre era interrogato da Paolo Borsellino, quest'ultimo dovette interrompere l'interrogatorio perché convocato da Parisi e Contrada. Secondo Mutolo, Borsellino tornò furioso dal colloquio e gli disse: "Ora verbalizziamo tutto, anche le accuse a Contrada". Ma “Mutolo ebbe paura e non parlò”.
E nessuno, ovviamente, gli contestò come quanto dichiarava rappresentava la prova ulteriore della sua assoluta inattendibilità anche perché infangava la memoria di BORSELLINO ( o confermava le voci secondo le quali BORSELLINO era inviso agli ambienti giudiziari che ne avevano ostacolato la nomina a procuratore della Repubblica presso il Tribunale di MARSALA, salvo poi a dare addosso, facendolo arrestare il 24 Dicembre 112, al dr. CONTRADA che “nel luglio del 1992” lo aveva “convocato” assieme a PARISI, capo della Polizia di Stato ).

Il 5 Aprile 1996, a conclusione della prima fase della tragedia estrinsecatasi con il suo arresto alla vigilia di Natale del 1992, il Dr. CONTRADA venne condannato a 10 anni di detenzione e a 3 di libertà vigilata per il reato – inesistente in diritto, oltre che in fatto -  di concorso esterno in associazione mafiosa.  Non furono pochi ad  accusare il Tribunale di avere emesso una sentenza politica. Il Dr.  Contrada, prima dell’emissione della sentenza, aveva chiesto che si acquisissero le prove di come avesse sempre operato nell’ambito delle Istituzioni dello Stato e nel rispetto delle Leggi. Aveva negato di avere fatto una carriera folgorante e segnalato che semmai a fare velocemente carriera era stato l'allora vicecapo della polizia Gianni De Gennaro. Su De Gennaro verranno avanzati sospetti anche da Giuliano Ferrara, per  la vicenda del ritorno a Palermo di Totuccio Contorno, e da Giacomo Mancini, secondo cui ci sarebbe stato un complotto di una parte della polizia per sostenere De Gennaro e per far condannare Contrada. Con un copione già sperimentato due anni prima, come vedremo, nei giorni successivi ci furono diverse prese di posizione in difesa di De Gennaro da parte di esponenti delle istituzioni, tra cui il procuratore Gian Carlo Caselli e i suoi aggiunti che diffusero una nota in cui si chiedeva che gli organismi cui competeva la tutela dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura reagissero agli attacchi aprioristici rovesciati contro la sentenza, senza alcun rispetto per le elementari regole di civiltà e diritto. L'11 Aprile 1996, in esecuzione dell’invito arrivato da PALERMO, venne votato dal CSM, con 27 voti favorevoli e 3 contrari, un documento presentato da 18 consiglieri contro gli attacchi alle magistrature di Palermo e di Reggio Calabria dopo le sentenze ai processi Contrada e Mancini. Pochi ricordano come, mentre era in corso la stesura della motivazione della sentenza di condanna contro il Dr. CONTRADA,  l’1 Ottobre 1996, il suo nome fu scritto una seconda volta nel registro degli indagati, per concorso in strage.  E ovviamente l’iscrizione avvenne in  base alle dichiarazioni del pentitista Gaspare Mutolo riguardanti un incontro, che sarebbe avvenuto a Roma poco prima della strage di via D'Amelio, tra Paolo Borsellino, Contrada e Vincenzo Parisi, alla presenza dell'allora ministro dell'Interno Nicola Mancino. In quell'occasione Contrada avrebbe dimostrato di conoscere le dichiarazioni di Mutolo, a quel tempo ancora segrete. MUTOLO stavolta non riuscì a violentare la Giustizia facendo avviare un nuovo procedimento perché Mancino smentì di avere incontrato Borsellino.

Il 17 Ottobre 1996 venne depositata la sentenza con cui il Dr. CONTRADA è stato condannato a 10 anni, per concorso esterno in associazione mafiosa. Reato inesistente e comunque mai commesso dall'ex dirigente del SISDE ed ex capo della Squadra mobile di Palermo. Quando si deciderà di indagare seriamente sulla tragedia della condanna di innocenti come Bruno CONTRADA sull’altare del pentitismo, utilizzato per perpetrare il colonialismo mafiosavoiardo nel SUD d’Italia, si verificherà come la sua incriminazione e la sua condanna maturarono in un clima che, tra i pochi a poterlo denunciare senza correre troppi rischi di incriminazioni e arresti, fu così descritto, dopo qualche anno da Francesco COSSIGA, a Dicembre 2002, nella relazione a un suo disegno di Legge con il quale chiese che la Direzione Investigativa Antimafia (Dia), istituita nel 1991, venisse sciolta. Il  disegno di legge si componeva di quattro articoli e prevedeva che il personale impegnato nella Dia venisse restituito alle amministrazioni di provenienza con una buonuscita. Il presidente emerito della Repubblica fece notare, nella premessa al ddl, che dopo i tragici assassinii di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino "si sono venute affermando diverse linee di politica giudiziaria che, nelle mani della cosiddetta 'magistratura militante', sono state utilizzate a fini preminentemente di lotta politica. In questo pericoloso quadro la Dia - prosegue - e', tra i servizi speciali di polizia 'accatastati'disordinatamente nella nostra organizzazione, con confuse e improvvide leggi, il servizio che piu' rapidamente si e' 'macchiato' di vere e proprie 'deviazioni', diventando presto - concluse Cossiga - un 'corpo separato' e percio' privilegiato, nella carriera e nella retribuzione dei suoi appartenenti". Secondo Cossiga, "un servizio assai presto totalmente uscito dall' orbita del ministero dell' Interno, politicamente responsabile verso il Parlamento". Nella dichiarazione che accompagnò la presentazione del disegno di Legge Cossiga aggiunse che era necessario “… sciogliere un servizio che e' ormai uscito dall' orbita del Viminale e si e' trasformato in un servizio non solo di polizia giudiziaria all'esclusiva dipendenza delle procure militanti e che nell' interesse di esse svolge anche azioni illegittime di polizia di sicurezza e con forme e modalita' proprie di un servizio segreto di polizia politica….". Dal “sistema” di cui parla il Presidente Cossiga nel Dicembre 2002, era scaturita la persecuzione, che permane, di Bruno CONTRADA. La  sentenza di condanna del Dr. Bruno CONTRADA venne  emessa per  le propalazioni della mafia pentitocratica che gestiva la Giustizia a fronte dell’inadeguatezza di improvvisati inquisitori.  A voler ricostruire la vicenda non si può non ricordare come il  Dr. Bruno CONTRADA venne arrestato, con studiata cattiveria, la vigilia di Natale del 1992 per fatti ricondotti all’“associazione a delinquere di stampo mafioso”, nel “sistema” ricordato da COSSIGA, dal terribile pool antimafia di PALERMO. Venne, ovviamente, rinviato a giudizio sulla base, prevalentemente, delle dichiarazioni del “pentito” MARINO MANNOIA di cui il pool antimafia aveva utilizzato la dichiarazione in cui riferiva: “…ero a conoscenza di uno stretto rapporto tra RICCOBONO e Bruno CONTRADA… l’uno faceva il confidente dell’altro. CONTRADA raccontava le cose della polizia che potevano interessare a RICCOBONO…in modo che lui potesse prevenire la cattura. So di ricompense materiali, ad esempio un appartamento che Angelo GRAZIANO procurò a CONTRADA…”.

Sentito al processo nel corso del dibattimento, MANNOIA ammise di avere - precedentemente alle dichiarazioni riportate che aveva reso al pool di PALERMO a Gennaio del 1994, cioè pochi giorni prima del rinvio a giudizio del Dr. CONTRADA, nelle persone del capo, Giancarlo CASELLI e sostituto LO FORTE – rilasciato altre dichiarazioni il 3 Aprile 1993 quando aveva ammesso esplicitamente “…di CONTRADA non ricordo praticamente nulla che possa avere interesse processuale…”. MANNOIA quindi, nel 1994, facendo finta di avere dimenticato quanto aveva dichiarato ad Aprile 1993 e per dare un contributo decisivo quanto falso al rinvio a giudizio del Dr. CONTRADA nel 1994, smentì completamente quanto aveva dichiarato ad Aprile del 1993, nella dichiarazione che il pool di PALERMO non ( non ) aveva inserito nel fascicolo, sottraendone quindi, oggettivamente, la cognizione non solo al Dr. CONTRADA e alla sua Difesa, ma anche allo stesso Giudice dell’udienza preliminare e, successivamente, del dibattimento. La cosa venne fuori perché al momento dell’interrogatorio di MANNOIA nel corso del dibattimento, la Difesa del Dr. CONTRADA, gli chiese come mai “…prima del Gennaio 1994 non aveva detto niente di CONTRADA”?. La Risposta di MANNOIA fu: “Non avevo detto nulla perché ero stanco. Mi avevano chiesto di CONTRADA al termine dell’interrogatorio, era quasi mattina, mi bruciavano gli occhi, volevo solo andare a dormire…” con ciò facendo scoprire che già prima del Gennaio 1994 “qualcuno” gli aveva fatto domande “di CONTRADA” ed egli aveva risposto dicendo come in realtà non ( non ) “…ricord(ava) praticamente nulla. Subito dopo MANNOIA ammise di essere stato interrogato sul Dr. CONTRADA quasi un anno prima del Gennaio 1994. A quel punto avvenne una delle cose più comiche ( se ci fosse spazio per la comicità quando un Cittadino come il Dr. CONTRADA, innocente, viene privato della Libertà e condannato per determinazione della mafia pentitocratica che strumentalizza Giustizia e Istituzioni dello Stato, come la vicenda dimostra ) che si possano descrivere: Il presidente del tribunale di PALERMO chiese al pubblico ministero di udienza se ci fosse nel suo fascicolo l’interrogatorio di cui parlava MANNOIA e il pubblico ministero candidamente, disse che non c’era in quanto “…venne ritenuto irrilevante perché non riferiva alcuna circostanza a carico di CONTRADA…”. Ammise, cioè la manipolazione del processo, da parte dell’accusa pubblica fin dalla fase delle indagini preliminari, almeno a partire dell’Aprile 1993 in danno del Dr. CONTRADA; ma anche della Giustizia, della Logica, persino della decenza processuale. Ammise che il processo era contro il Dr. CONTRADA e non per l’accertamento della verità in quanto dolosamente erano state inserite sole le “circostanz(e) a carico di CONTRADA”.

A fronte della dichiarazione del pubblico ministero di udienza che forniva la prova della manipolazione dell’accusa in danno del Dr. CONTRADA, il Tribunale dispose di acquisire il verbale della dichiarazione di MANNOIA del 3 Aprile 1993, nella quale il “pentito” aveva dichiarato esplicitamente di non sapere nulla del Dr. CONTRADA. Ma ovviamente nessuno si preoccupò di vedere, nella comparazione tra quel verbale del 3 Aprile 1993 e quello successivo del Gennaio 1994, la prova della falsità delle dichiarazioni di MANNOIA contro il Dr. CONTRADA. Ciò prova quantomeno dell’inadeguatezza dei componenti del pool di PALERMO che aveva condotto le indagini in quanto, nel momento in cui si verbalizzarono le dichiarazioni di MANNOIA nel Gennaio 1994 nelle quali costui parlò del Dr. CONTRADA le presero per oro colato e neppure per decenza gli chiesero come mai ad Aprile 1993 aveva detto di non saperne nulla. Violando, fra l’altro l’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti e l’articolo 358 del codice di procedura penale italiano. Ma in ogni caso la deliberata volontà di sottrarre alla Difesa e al giudice dell’udienza preliminare e del dibattimento, la prova del mendacio di MANNOIA e del documentale inquinamento della sua “collaborazione” tra Aprile 1993 e Gennaio 1994; da parte della mafia pentitocratica che voleva e ottenne il rinvio a giudizio e la condanna del Dr. CONTRADA, nel nome di MANNOIA. La prova ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, della falsità delle accuse di MANNOIA e del tentativo di giustificare le falsità riferite a partire da Gennaio 1994, attribuendo l’esplicita indicazione di non sapere nulla “di CONTRADA” dell’Aprile 1993, alla stanchezza e al desiderio di dormire, era fornita intanto dal fatto che dopo la pagina del verbale dell’Aprile 1993 che contiene quell’espressione, ve ne sono altre due piene di altre dichiarazioni e riferimenti. Ciò significa anche che MANNOIA mentì al Tribunale o calunniò il pool di PALERMO attribuendogli di avere riempito quelle due pagine mentre il “collaboratore” dormiva. Certo i componenti del pool di PALERMO non possono essere sospettati di complicità con MANNOIA. Ma è evidente come non avere chiesto, a Gennaio 1994, a MANNOIA di giustificare quanto al contrario aveva dichiarato ad Aprile 1993, quando aveva escluso di conoscere “CONTRADA”; non avere neppure indagato sui contatti di MANNOIA tra quelle due date; avere sottratto al giudice dell’udienza preliminare, alla Difesa, al giudice del dibattimento, il verbale dell’Aprile 1993, è prova di una assoluta inadeguatezza, di incompetenza inescusabile nella gestione delle indagini finalizzate solo su “circostanz(e) a carico di CONTRADA” e della raggirabilità da parte mafia pentitocratica cui è riconducibile la sentenza di  condanna del Dr. CONTRADA. E che, in un paese civile, avrebbe già dovuto essere sottoposta a revisione. Prima che nell’interesse del Cittadino innocente e ciò nonostante condannato, nell’interesse della Giustizia e della stessa decenza processuale. Anche perché, come ricordato in premessa,  il pentito Vincenzo De Caro aveva rivelato che nel '79 il boss Rosario Riccobono voleva uccidere Bruno Contrada, allora capo della Squadra Mobile di Palermo, in modo da fare ricadere la colpa su Gaspare Mutolo, che era stato arrestato per opera di Contrada. Ma nessuno mai contestò la circostanza a MANNOIA, né mise a confronto i due. Il “sistema” denunciato da COSSIGA aveva già realizzato quello  che un organo sicuramente non rivoluzionario come l’“Osservatore Romano” definì come “Repubblica pentitocratica che galleggia su un mare di comunicazioni giudiziarie”. Di quella “Repubblica” CONTRADA è stata e rimane una delle vittime più illustri. Ci si augura che domani, nel palazzo di Giustizia di PALERMO, qualcuno se ne ricordi e almeno arrossisca. E che si comprenda come ogni provvedimento che faccia finire la persecuzione di Bruno CONTRADA potrebbe contribuire al tentativo di ripristino del decoro della Giustizia.

Ruggero di Lauria