motticella_di_bruzzanoMOTTICELLA DI BRUZZANO
Ora giace intera dove è ufficialmente nata ai tempi dei monaci Basiliani, ma antecedentemente, in quel posto, esisteva qualche nucleo di famiglia formatosi dall’unione di un indigeno/a con un greco/a sbarcato a Capo Bruzzano nell’ottavo secolo prima di Nostro Signore. Ai piedi di Scapperrone, monte perfettamente arrotondato, con due strade tortuose ai suoi fianchi che vanno ai Campi di Bova c’è Motticella, salvaguardata dai monticelli che la circondano alle spalle lasciandole la vista al mare. Li si gode un clima stupendo estivo e invernale. E’ al 38° parallelo nord e percorrendo l’argine del fiume Bruzzano si scorge il borgo e si ha l’impressione di ”….ecco apparir Gerusalemme, si vede”. E’ stato stilato dalla penna eccellente e chiara di Pasquale Mollica uno scritto che è assurto ad un ottimo libro di antropologia su Motticella, con prefazione di Saverio Strati: “C’era una volta Motticella”.

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Ora è morta e l’agonia di Motticella è stata quasi indolore. In silenzio, piano piano il numero dei suoi abitanti scemava per svariati motivi, tanto da rimanere un paese fantasma con tutte le sue belle case ancora intatte e di pietra e con i due promontori assomiglianti esattamente al primo presepe di San Francesco. Pur essendo Motticella frazione di Bruzzano Zeffirio, era più popolata e più importante del paese principale. Era il centro di comparati e parentele. Era il centro di amori intrecciati e passionali. Per tutti era un paese un poco misterioso, comunque allegro con canti, con suoni e poesia nel cuore. Nei paesi vicini si parlava molto bene di quel centro. Aveva le sue facoltose famiglie, aveva i limitati personaggi di spicco. Ha dato i natali a gente di cultura, specie nel campo giornalistico, onore e vanto per l’Italia tutta.

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Motticella rimane un ricordo gentile, turbolento, passionale, allegro per i viventi, ricordo che col tempo lentamente si affievolisce; rimane una testimonianza  per i posteri, che in quelle case integre e solide, con le loro viuzze tortuose, lascia intravedere una vita passata piena di realtà, di sogni e di chimere.
Novembre 2008.                                                Romolo Marando