C’era una volta in un paese che non c’è una bella dama dorè. Una reginetta con lunghi capelli neri, scarpette rosse e abiti di pizzo. Pardon, fusò e tacchetti a punta e spillo. Arsenico e vecchi merletti. Era molto ambiziosa e aveva un ascendente incredibile con i cavalieri del potere. Con uno sguardo maliardo li pietrificava e li teneva al guinzaglio. Usava una pozione magica e questi cavalieri dei templi diventavano idioti e sottomessi al suo volere. E la reginetta faceva e disfaceva a suo piacimento. Aveva raggiunto una posizione di controllo nel castello dei bottoni e con la sua bacchetta magica comandava con una ferocia senza limiti. Prendeva ordini dai regnanti suoi padroni con cui a doppio filo era legata nel castello fatato. Per tanti sortilegi fatti insieme.
Era temuta e odiata dai sudditi. Le sue gonnelle venivano avvistate a distanza e si preparavano le riverenze al suo cospetto. Lei incedeva altera e non degnava nessuno di uno sguardo. Il suo prezioso profumo stordiva i presenti che al suo passaggio abbassavano timorosi lo sguardo. Solo i suoi favoriti avevano il privilegio di un suo saluto sfuggente.
La potente reginetta dama dorè aveva in sua mercè la sua sorellastra. L'aveva legata con un incantesimo. Perchè in questo era una maestra. Questa sorellastra era grassoccia e rigida e camminava come una gendarma tanto che spesso si travestiva con una divisa ed era scambiata per un cavaliere della milizia. Anch'ella aveva coltivato l'arte della doppiezza dove aveva raggiunto un'abilità straordinaria. Per l'arte che professava, la stessa della reginetta dama dorè dai lunghi capelli neri sua consanguinea, sapeva i segreti di tanti che andava a spifferare a chi non avrebbe mai dovuto. Come si dice, informava or questo or quello. Ora il sacro ora il profano. Le reginette dorè vendevano tutti al migliore offerente. E raggiravano i deboli di mente.
Le due reginette coltivavano l'intelletto. Erano, come si dice, due intellettuali. E come due comparelle erano unite per la pelle. Facevano incantesimi insieme. Insieme estraevano veleno dalle zampe posteriori degli scorpioni e dalle antenne delle terantole e lo somministravano a chi non era loro gradito. A chi faceva ombra alle loro onorabili figure.
Le due nobili dame dorè sfrecciavano per colli e valli con le loro carrozze trainate da quattro cavalli bianchi e neri. A pois. Le due dame dorè pensavano di essere al di sopra di ogni sospetto e tramavano tele e regnarele. Ma non sapevano le reginette della notte che camminavano a “di dietro scoperto”. La loro fama aveva valicato i confini del paese che non c’è. Tutti i sudditi delle contrade vicine e lontane sapevano delle loro magherie e le scansavano anche se mai lo davano a vedere. Per paura. Ma appena potevano, gli abitanti del paese che non c’è e anche quelli dei dintorni, sparlavano e sparlavano.
Le due reginette comparelle governavano d'amore e d'accordo. Dove non arrivava l'una provvedeva l'altra. Ma un triste giorno le due dame dorè litigarono a morte per una mela belinda. Dono di una strega moglie di un principe ranocchio. Chi mangiava la mela belinda sarebbe diventata immortale. La principessa bella e maliarda dai capelli neri la voleva perchè era la più bella e la più brava. L'altra principessa in carne e spettinata la voleva pure per diritto di genitura essendo nata prima.
E le due reginette dame dorè incominciarono così a questionare e a tirarsi i capelli. Perché ognuna diceva che la mela belinda toccava a lei perchè era la capa. L'una, quella dai lunghi capelli neri, perchè bellissima e maliarda. L'altra, la sorellastra grassoccetta, perchè era la più anziana. E cominciarono un tira e molla ma non riuscirono a mettersi d’accordo su chi dovesse essere la capessa e ricevere la mela dell'immortalità.
Si strapparono i capelli l’un l’altra e alla fine si mangiarono tra di loro. Rimasero solo le scarpette e la mela belinda. Il castello del regno crollò mancando le reginette consigliere. Gli asinelli smisero di ragliare. Non furono più fatti banchetti di zeppole e poesie. Non furono più cordogliati da microfoni e discorsi sdolcinati e sconclusionati a suono di tamburo. Da quel giorno il reame respirò una boccata d’aria fresca. Liberato da un incantesimo malvagio. Nella contrada gli uccellini ripresero a cantare felici sui rami dei pini marini.
Morale della favola: le mele belinde fanno male. E le zeppole pure.
PS: Questa è una favola. Tutti i personaggi e gli eventi raccontati sono frutto di fantasia come lo sono in tutte le fiabe. Alla prossima.
Post-post scriptum:
Ogni dama dorè del regno si riconosceva e strillava: quella dama sono io, sono io. Ma solo quelle che calzavano la stessa scarpina erano le dame dorè. E non portavano lo stesso surname. Perché erano sorellastre di madre. Chi saranno? Nessuna.
Non sei tu, nè tu, nè tu, perchè questa è una favola blu.