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torture_vl-vertical-180-croftMolto spesso mi vengono posti dei quesiti, come psichiatra, ai quali ho difficoltà di dare una risposta “professionale”. Un’amica di recente mi ha chiesto se la cattiveria e la crudeltà possano essere una malattia, una predisposizione genetica oppure se si può diventare cattivi. La mia amica, sconvolta da un video in cui vengono mostrate crudeltà efferate, probabilmente ha necessità di darsi delle ragioni di quanto aveva visto. Non è la sola, domande simili mi vengono poste molto spesso.

Al riguardo c’è da chiedersi cosa vogliamo far rientrare nella patologia. La tentazione di considerare malate le persone “cattive” è molto forte, perché possiamo avere l’illusione che prima o poi possa esserci una cura e possiamo avere il controllo della situazione. Finché c’è capacità di scelta, la cattiveria e la crudeltà sono solo… cattiveria e crudeltà.

Il mio pensiero personale è che tutto prenda inizio da alcune scelte iniziali che portano poi a percorrere una strada piuttosto che un’altra. E’ un po’ come se a poco a poco io decidessi di ascoltare sempre meno alcune parti di me e lasciare che emergano in modo distorto e distruttivo altre parti. Quando cominciamo ad intraprendere quella strada, a poco a poco (o magari rapidamente…) l’effetto è quello di perdere la nostra umanità, cominciando a vedere tutto come “cosa” che può esserci utile o meno, che può darci soddisfazione o essere d’intralcio per il raggiungimento dei nostri obiettivi.

Penso che ci sia una certa propensione caratteriale che renda più facile ad alcune persone di intraprendere questa strada, ma al di là di tutto credo che ci sia proprio un discorso di SCELTA.
L’errore che fanno spesso i miei colleghi è quello di assecondare il mito secondo cui un “esperto” della mente umana sarebbe in grado di dare risposte a tutto. Non c’è niente di più sbagliato. Molto spesso gli psichiatri e gli psicologi sono vittime di feroci prese in giro (spesso con conseguenze anche piuttosto gravi) da parte di persone che, semplicemente, sono arrivate ad avere una grande freddezza nel proprio modo di perseguire la vita e sfruttano certe debolezze degli “operatori della mente”, gratificando il loro senso di onnipotenza e la sensazione di poter dare a tutto una risposta, per cancellare o per mitigare le proprie responsabilità personali nei confronti della società.

Io credo che la cattiveria e la crudeltà siano delle potenzialità umane, così come la vigliaccheria e, d’altro canto, l’eroismo, la generosità e l’altruismo. Tutti possiamo accedere ad entrambi gli estremi, sebbene di solito rimaniamo all’interno di un’area intermedia oscillando, chi più chi meno, nell’una o nell’altra caratteristica. I fattori che possono trasformarci in uno degli estremi (eroismo – crudeltà efferata) sono tantissimi, e fra questi uno è quello di mantenere sempre la volontà di pensare autonomamente e di operare delle scelte momento per momento, accettando anche il fatto che non siamo affatto buoni.

In situazioni per esempio come quelle di una guerra, si finisce per entrare in uno spirito di gruppo, a causa del quale si rinuncia a pensare autonomamente e ci si muove come parte di un’entità più grande, legata ad essa e dipendente da essa. E se quest’entità decide di agire in modo crudele, chi compie le azioni sono i singoli individui che la compongono. Chi si ribella a questo rischia la morte. In circostanze di questo genere le persone diventano disumane oppure eroi, perché non c’è possibilità di prendere una strada “neutra”.
Il discorso è molto complesso e credo che sconfini molto dall’ambito psichiatrico. E’ vero che ci sono delle caratteristiche di personalità, dei disturbi di personalità per cui, forse, si può parlare di “cattiveria patologica”, ma al di là dei criteri di classificazione, siamo poi così sicuri che il problema sia proprio clinico?


Vi sono dei grossi rischi nel considerare la cattiveria come una forma di patologia:

1. si attribuisce alle cure psichiatriche un potere che non hanno e agli stessi psichiatri delle capacità divine e non umane (siamo medici, non dei)
2. si deresponsabilizza l’essere umano. Se io sono “malato”, sono autorizzato a fare qualunque cosa perché la responsabilità di ciò che faccio non è la mia, ma della cosiddetta malattia.
Patologizzare la cattiveria ha come risultato quello di aumentare i comportamenti disumani nelle persone. E’ fondamentale che ognuno di noi si renda responsabile di ciò che fa, momento per momento, e si renda consapevole che ogni nostro gesto, anche il più piccolo e apparentemente banale, può avere delle conseguenze a lungo termine.
Imparare questo, accettare anche la nostra potenzialità di cattiveria, è una condizione necessaria per non trasformarci in mostri.


Donatella Lai, psichiatra
Il Cofanetto Magico
Tutti i colori dell'essere e dell'esistere

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La cattiveria

Questo lavoro è stato tratto da Internet alla voce "cattiveria"