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sabina-spielreinFiglia di un mercante ebreo, nel 1904, sofferente di una grave forma di isteria, fu ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Burghölzli, nei pressi di Zurigo, dove all'epoca lavorava Carl Gustav Jung. Guarita, instaurò con Jung un intenso legame affettivo, che durò fino al 1911. In quell'anno Sabina Spielrein si laureò in Medicina, con una tesi su un caso di schizofrenia, e nello stesso anno venne eletta membro della Società di Psicoanalisi di Vienna. Jung rimase comunque il suo maestro, e il suo lavoro venne in certa misura influenzato dalle teorie di Sabina.

In seguito sposò Pavel Scheftel, un medico russo anch'egli di origine ebrea, da cui ebbe due figlie: Renate, nata nel 1912, e Eva, nata nel 1924. Nel 1923 ritornò con la famiglia in Russia, e assieme a Vera Schmidt fondò un asilo infantile a Mosca, chiamato "l'Asilo Bianco" dal momento che le pareti e i mobili erano dipinti di bianco. L'istituto era fondato su principi molto moderni per l'epoca, e si cercava di far crescere i bambini come persone libere. Esso venne però chiuso tre anni dopo dalle autorità sovietiche, con l'accusa di praticare principi educativi contrari alla dottrina del partito (in effetti Stalin iscrisse all'Asilo Bianco, sotto falso nome, anche il proprio figlio Vasily).

Nel 1942, durante l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, fu uccisa dai soldati nazisti nella sua città natale, assieme alle figlie Renata (28 anni) ed Eva (18 anni). Il marito era morto nel 1936, durante le Grandi Purghe staliniane.

“Quando morirò voglio essere seppellita sotto una quercia, e voglio che qualcuno scriva: ‘Anche lei era un essere umano’… ”

In questa semplice frase è forse racchiuso il testamento spirituale di Sabina Spielrein, prima paziente e poi allieva di Carl Gustav Jung.
E’ stata una delle prime donne a praticare e scrivere come terapeuta della malattia psichica; seguace della psicoanalisi, si era laureata in medicina e specializzata in psichiatria e aveva portato la psicoanalisi in URSS.

Sabina nasce a Rostov sul Don nel 1885 da una famiglia ricca della Russia del dispotico zar Nicola II. In seguito alla morte della sorella, viene colpita da frequenti e violente crisi depressive, al punto che, a 19 anni, i genitori la portano nel famoso ospedale psichiatrico Burgholzli di Zurigo dove viene affidata alle cure del giovane dottor Carl Gustav Jung. Ad un mondo di docce fredde, camicie di forza e urla risonanti per i corridoi, Jung contrappone l’utilizzo del mezzo umano per eccellenza: la parola. Con la parola si avvicina alla ragazza spaventata e persa nei suoi fantasmi, con la parola la conduce alla riappropriazione del senso di sé e la reimmette nella pensabilità umana, con la parola le dona confidenze e aspetti di sé fino ad allora custoditi in privato, con la parola la calma, la rassicura, la guarisce, ma anche la seduce.

Un anno dopo Sabina esce dall’ospedale e, nello stesso periodo, termina la sua relazione con Jung a causa di una lettera anonima recapitata alla madre della giovane, forse scritta dalla stessa moglie del medico, che rinnega il proprio amore sull’altare della famiglia e della professione.

Sabina si iscrive e si laurea in medicina, specializzandosi in psicoanalisi e pedagogia. Sposa nel 1912 il medico russo Pavel Scheftel, decisa a vivere d’amore e non a morirne, anche se, dentro di lei, non dimenticherà mai Jung. I suoi studi e le sue teorie di questo periodo vengono ripresi dallo stesso Freud, con il quale la donna ha avuto una fitta corrispondenza.


Nel 1913 nasce sua figlia Renate con la quale torna in Russia nel 1923. Si stabilisce a Mosca, che era in pieno fermento per le idee e le riforme introdotte da Lenin. Qui si specializza nel campo della psicoanalisi e della psicologia infantile e diventa direttrice dell’asilo bianco, cosiddetto dal colore con il quale erano dipinti i suoi interni. L’asilo bianco, fondato da Vera Schmidt, rappresenta un esperimento ambizioso in cui Sabina non smise mai di credere: in esso i bambini venivano fatti crescere in assoluta libertà, per aiutarli a diventare uomini veramente liberi.

Il sogno dell’asilo bianco è bruscamente interrotto durante gli anni della dittatura di Stalin; il regime fa chiudere l’asilo, bandisce la psicoanalisi e non risparmia la famiglia di Sabina: due suoi fratelli vengono deportati ed uccisi. A Sabina il destino non riserva una fine migliore: muore, nel 1942, uccisa dai nazisti durante l’occupazione di Rostov, dove si era rifugiata dopo la chiusura dell’asilo.
Sabina e sua figlia vengono fucilate nella sinagoga assieme ad un centinaio di ebrei. Le ricerche sulla seconda parte della vita della Spielrein sono state difficili, ma hanno avuto una svolta decisiva quando Roberto Faenza, il regista del film ‘Prendimi l’anima’ ha rintracciato per caso il figlio di Vera Schmidt, ultimo sopravvissuto tra i bimbi che avevano frequentato l’asilo bianco.

I suoi scritti di psicoanalisi sono stati giudicati interessanti ed originali. Spicca fra tutti l’epistolario intrattenuto con Freud e Jung ed il diario che Sabina scrisse durante la sua relazione terapeutica e sentimentale con Jung stesso, dalla quale esce non solo guarita ma anche desiderosa di condividere con la sua intelligenza la storia della psicoanalisi.

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Dal Blog di Luca Bagatin


"Prendimi l'anima": un film sulla storia d'amore fra Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung

Che cos'è l'anima, che cos'è la psiche ?
Può l'anima nei suoi risvolti più profondi, spirituali ed interiori, essere in profonda comunicazione con la psiche ?
Che cos'è l'amore ?
Amore e Psiche, gli eterni amanti descritti da Apuleio e raffigurati dal Canova in un'allegoria che racchiude profondissimi significati mistici e psicologici.
Sono queste immagini, queste figure, che mi sono affiorate alla mente allorquando ho rivisto il bellissimo e drammatico film di Roberto Faenza: "Prendimi l'anima".


spielreinjungUn film del 2002 che ricorda la profonda e tormentata storia d'amore fra lo psichiatra Carl Gustav Jung ed una sua paziente, l'ebrea russa Sabina Spielrein, poi diventata a sua volta celebre psicoanalista.
Una storia che venne alla luce proprio di recente, anche per mezzo dello studio delle conversazioni epistolari fra il padre della psicanalisi Sigmund Freud ed il suo allievo Jung.
Sabina Spielrein, fragile donna che nel 1904 fu ricoverata - a soli vent'anni - in una clinica nei pressi di Zurigo in quanto gravemente malata di isteria. Probabilmente in quanto maltrattata dal padre.
Qui la accoglierà amorevolmente uno Jung alle prime armi, dedito a sperimentare per la prima volta i metodi di Freud.
Metodi diametralmente opposti rispetto a quelli coercitivi in voga all'epoca fatti di docce fredde e camicie di forza.
Il metodo freudiano - che sarà poi alla base di quello junghiano - si fonderà infatti sul dialogo franco ed aperto fra paziente e medico e sulla libera associazione delle parole (mai come in questo film sono stati messi in evidenza, sul grande schermo, i rudimenti di tale metodo).
Sarà proprio la fiducia della Spielrein nei confronti di Jung a garantirle la piena guarigione. Una guarigione - raffigurata - nel film di Faenza, dalla bellissima scena della Spielrein (interpretata da una magistrale Emilia Fox) che canta e suona "Tumbalalaika", canzone d'amore russa della tradizione ebraica, accompagnata dai sorrisi e dagli applausi di tutti i malati psichici della clinica. E da uno Jung che si farà coinvolgere nella danza, con l'evidente disapprovazione di tutti gli altri psichiatri, che già allora lo consideravano un tipo bizzarro.
"Non ci può essere cura senza amore", afferma Jung nel film stesso, che ricorda una delle sue celebri massime: "Dove l'amore impera, non c'è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l'amore. L'uno è l'ombra dell'altro".
Sarà così che, dopo la guarigione, Jung continuerà a frequentare la donna, incoraggiata da lui stesso ad intraprendere studi in medicina. E sarà così che i due si innamoreranno perdutamente l'uno dell'altra in un'unione perfetta e simbiotica, erotica e passionale.
Jung donerà alla Spielrein, dunque, una pietra, rammentandole che gli uomini primitivi erano soliti credere che l'anima umana fosse contenuta in essa. Egli l'aveva così allegoricamente resa "custode della sua anima".

Carl Gustav Jung è purtuttavia sempre un uomo sposato e si vedrà costretto ad interrompere bruscamente il rapporto con la Spielrein, che nel frattempo si laureerà e sposerà successivamente il medico russo Pavel Scheftel che le darà due bambine.
E' così che la Spielrein tornerà nella sua Russia, a Mosca, ove fonderà un asilo per bambini: l'Asilo Bianco.
Jung, comunque, non la dimenticherà al punto che continuerà a sognarla e saranno proprio i suoi sogni premonitori (ricordiamo che lui stesso si occuperà in diverse occasioni della sua vita di questo particolare fenomeno della psiche, così come dei cosiddetti "fenomeni occulti" di cui si era già occupato nella sua tesi di laurea) a segnalargli i momenti di pericolo corsi dalla donna. Che saranno purtroppo molti.
Nell'Asilo Bianco la Spielrein avrà modo di sperimentare nuovi metodi educativi improntati allo sviluppo della creatività e della massima libertà dei bambini, insegnando loro anche primi rudimenti di educazione sessuale.
E' davvero commovente la scena in cui la Spielrein riesce a far sorridere un bambino chiuso in sé stesso e profondamente triste, distraendolo con un simpatico scimpanzè. Quel bambino è Ivan Ionov, tutt'ora vivente ed ultra ottantenne che non dimenticherà mai quanto fatto dalla psicoterapeuta per lui.

A Mosca, Sabina, aderirà anche al nascente bolscevismo, ma dovrà presto ricredersi nel momento in cui la repressione stalinista le imporrà con la forza di chiudere l'Asilo e metterà all'indice i suoi metodi educativi, considerati contrari alla morale comunista.
E' così che, morto il marito nelle cosiddette "purghe staliniane", la donna tornerà nella sua natia Rostov per tentare di fondare un asilo clandestino, ma i nazisti che stavano avanzando in Unione Sovietica la prenderanno e la trucidetanno assieme alle figlie ed a centinaia di altri ebrei in una sinagoga.

Il film di Faenza
è strutturato su due livelli: da una parte la storia di Sabina Spielrein, della sua storia con Jung e della sua carriera di psicoterapeuta infantile e dall'altra quello di due giovani studiosi, Marie e Fraser, che, ai nostri giorni, a Mosca, tenteranno di ricostruire la storia di questa incredibile donna.
Una donna, la Spielrein, che influenzò profondamente l'opera di Jung e finanche di Freud, come documentato dai rapporti epistolari che ebbero i tre.

Nel suo diario personale, ella volle appuntare che avrebbe desiderato - una volta morta - che la sua testa andasse a Jung al fine di sezionarla e di studiarla, mentre il suo corpo avrebbe voluto fosse cremato affinché le sue ceneri fossero sparse ai piedi di una quercia con una semplice lapide con sopra scritto: "Anch'io sono stata un essere umano".
"Prendimi l'anima" è dunque un'opera unica nel suo genere, che parla di anima e di amore a partire da due storie autentiche: quella di un fine studioso dell'inconscio come Jung e quella di un ex malata di mente poi brillante psicanalista.
Un rapporto eterno: anima e amore, destinato ad affascinare e ad entrare sempre e comunque nella vita quotidiana di ciascuno di noi.
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