donne-con-burka-200-pxOcchi scuri, dall’inconfondibile taglio asiatico, a mandorla: fingono
di fissare l’obiettivo, ma in realtà sono altrove, sbarrati dinanzi
all’incolmabile e terrorizzante vuoto che si distende alla loro vista
o, in virtù di una misteriosa preveggenza, già intenti a guardare con
rassegnazione le sbarre di un carcere, dalle pareti inumidite, grigie,
abitate da grandi muschi e insetti famelici.
Forse, Sakineh non sapeva che il male peggiore per lei non sarebbe
stato quello, non sarebbero stati il buio, la solitudine e la fame
delle carceri; forse, sperava di riuscire ad amare quell’uomo in
silenzio, senza far rumore, senza che la loro riprovevole e turpe
storia venisse alla luce.
Della luce del sole le donne come Sakineh
non possono godere, non ne sono ritenute degne: sono condannate
dall’ignoranza e dalla brutalità a vivere sottoterra, nell’oscurità,
perennemente all’ombra di certe lunghe e scure barbe, quelle degli
uomini che odiano le donne. Coperte da un velo che, a volte, nasconde
anche la bocca, il naso, le guance, lasciando solo intravedere gli
occhi, come per significare: tu, donna, non hai il diritto di parlare,
devi avere le labbra serrate; tu, donna, non puoi annusare il mondo,
scoprire qual è il profumo della primavera, dei fiori sbocciati,
dell’estate, della distesa blu del mare ricco di salsedine,
dell’autunno, della pioggia che calpesta le foglie gialle e
accartocciate;

A te, piccola donna, non verrà mai regalata una
carezza, non potrai mai avvertire sul tuo viso il calore di una mano:
né quella grande, rassicurante, con i calli che accompagnano tuo
marito ogni giorno nelle sue fatiche né una piccola mano, così piccola
che, distesa, non ti ricopre neppure la guancia, quella con le
sbucciature e i taglietti che il tuo bambino si procura sempre durante
le gare con l’aquilone, in quei rari sprazzi di spensieratezza e
gioia; perfino la tua fronte è completamente nascosta da quel
maledetto velo nero, quasi per annullare la tua mente, come se ti
fosse negato di ragionare e dovessi sottostare alle scelte altrui,
come se dovesse essere sempre qualcun altro a decidere per te, per
l’apparente e illusoria vita che ti è concessa.

burkaSolo gli occhi ti s’intravedono, ma sembra che anch’essi siano dietro un velo che li
rende offuscati, grigi, un velo di tristezza e menzogna.
Sakineh vorrebbe chiedere aiuto, fuggire via, urlare a squarciagola,
amare senza costrizioni, liberarsi da quelle catene che le
imprigionano le mani, che la fanno sanguinare, che la costringono ad
una vita odiata sino a rasentare la follia, a compiere gesti
inconsulti per l’agonia e il dolore lancinante;
ma, Sakineh è una donna sola,
sola contro la pazzia degli integralisti, contro un Corano
distorto, maltrattato, strumentalizzato ai fini terroristici, sola
contro un intero Paese allo sbando, in balia di un governo fascistoide
e autocratico, colpevole di legiferare ai danni delle donne, dei
civili, degli oppositori politici, degli omosessuali, dei fedeli ad
altre religioni, di coloro che non odiano il gigante capitalista.

Odio è la parola d’ordine, odio è il sentimento che il buon islamico deve
serbare per i presunti infedeli, l’odio è il motore di un processo che
sta falcidiando il Paese da troppo tempo ormai, con una potenza
distruttiva maggiore a quella della bomba atomica che si progetta e si
nasconde come un asso nella manica. Così recita il libro sacro:

“Allah non permette ai suoi fedeli di fare amicizia con gli infedeli.
L’amicizia produce affetto, attrazione spirituale. Inclina verso la
morale e il modo di vivere degli infedeli e le idee degli infedeli
sono contrarie alla Sharia. Conducono alla perdita dell’indipendenza,
dell’egemonia, mirano a sormontarci. E l’Islam sormonta. Non si fa
sormontare.”

Non è poi così difficile intuire in che modo il Corano
possa fomentare gli odi, aizzare il popolo musulmano contro il mostro
occidentale, favorire la chiusura, la diffidenza e persino l’astio nei
suoi confronti.

Chissà quante Sakineh in Iran, quante in Arabia Saudita, in Pakistan,
quante nel mondo intero: quante di loro sono dilaniate dal dolore,
trafitte da un pugnale al cuore, quante vagheggiano la libertà nei
momenti di lucida follia, quante tremano alla sola vista di sassi
immobili. Poiché l’uomo, nella sua remota bestialità, ha reso armi
infallibili e letali anche le pietre, facendone piovere decine,
centinaia, migliaia sul capo dell’adultera, finché la testa non
ciondoli sanguinante e inerte sul suo collo, con gli occhi rivolti al
cielo, forse rendendo grazie per aver posto fino ad una simile
tortura.
È questa la pena che si teme da agosto per la giovane donna iraniana,
tale è il tragico destino che la attende, sempre più da vicino;
l’intervento della comunità internazionale, di associazioni umanitarie
tra cui Amnesty International, il coraggio contenuto nelle parole
pronunciate pubblicamente da altre donne come Carla Bruni hanno
scatenato l’ira e l’indignazione del mondo islamico, ma anche
contribuito ad arrestare l’esecuzione. Forse, purtroppo, solo a
ritardarla di poche angosciose ore. Il ministro degli Esteri islamico
parlava di lapidazione, adesso, invece, parla di impiccagione, poiché
la donna sarebbe punita a morte più per l’accusa di aver concorso
all’omicidio del marito che per quella di adulterio.
Lapidazione o impiccagione che sia, poco importa: ciò che ne deriverà sarà comunque
l’ennesima Sakineh a pagare con la propria vita una collettiva follia
misogina, un integralismo intollerabile, un apparato legislativo
arbitrario e sospetto che legalizza la pena capitale. La si condannava
per la prima volta, in Italia, nel lontanissimo 1786 con il Codice
Leopoldino, condanna ribadita con il ministro Zanardelli e
ripristinata nel più recente ’46, dopo che essa era stata in vigore
nel ventennio fascista. Ma, soprattutto, contro la pena di morte
scriveva l’illuminista Cesare Beccaria nel celebre trattato Dei
delitti e delle pene. Oggigiorno, coi tempi che corrono e il progresso
millantato, tale barbarie umana/disumana resta una triste piaga
sociale con cui tirare i conti, ancora da debellare.

Mentre scrivo, so che ogni minuto potrebbe essere fatale per Sakineh,
potrebbe rivelarsi l’ultimo della sua breve e ingiusta vita. Mentre
scrivo, mi viene da ridere se penso alle parole proferite dal
colonnello libico Gheddafi, secondo il cui genio “le donne sono più
rispettate nel mondo islamico”…
Pauca intelligentibus.

di Laura Schito
studentessa di greco e latino all'università di Milano.