castello-ruffo-scillaIn una particolarissima e tutta italiana finzione di interesse per una terra ancora troppo lontana dal cuore politico ed economico di un Paese scopertosi autonomista solo per opportunità, e non per convinzione di pari dignità, torna di scena il Sud e la Calabria. Il nuovo slancio autonomista, in un Paese in emergenza al di là delle ottimistiche previsioni di uscita da una crisi che ha attestato negli ultimi mesi anche un saldo del Pil a meno 5%, cercherebbe di affermare l’idea di poter affrancare, finalmente, il Mezzogiorno da logiche centrali attraverso un federalismo d’occasione. Tuttavia, nonostante i buoni propositi, ci si interroga su alcune semplicissime questioni. Anzitutto su quale sarebbe la leadership e dov’è la novità, negli uomini e nelle idee in particolare.


Perché i promotori di un federalismo senza idee e progetti, se non fiscalmente amorfo nelle sue argomentazioni, dovrebbero scoprirsi oggi i “nuovi” salvatori, dal momento che avrebbero potuto farlo ieri e, data la loro longevità, politica s’intende, l’altro e l’altro ieri ancora in Calabria come in Sicilia o in Campania senza rigirare le solite poltrone? Oggi molti di noi si chiedono, al Nord come al Sud, come mai tanti, tantissimi politici d’Oltrepo si sentano calabresi e magari cerchino di guidare la vita politica di una terra di confine. Perché i calabresi “hanno i numeri” al Nord? O perché nel risultato elettorale appena conclusosi al Sud si potrebbe consolidare una leadership nazionale che vuole risalire da Sud ed ipotecare un successo elettorale? Magari scoprendo il valore di un Mezzogiorno nonostante la distanza economica e sociale, ma fedele sino a ieri, nella credulità del bisogno, alle promesse di sempre? O perché si debbano consolidare nuovi personalismi al di sopra della gente comune, come se non bastassero quelli già presenti?

Credo, in verità, che la Calabria, come buona parte del nostro Sud abbia già provato tutto ciò che si poteva provare nella gestione disincantata di una terra privata di ogni interesse, sottraendo ai calabresi qualunque possibilità di essere protagonisti, edulcorando ogni tentativo di costruire una coscienza nuova o ricorrere al solito alibi della criminalità o alla commiserazione di un nulla di fatto da patti elettorali che valgono la promessa di un voto. Oggi, come domani, nel destino della regione si presentano scenari diversi che si sovrappongono senza soluzione di continuità e il prossimo gossip politico dell’estate alle porte ci trascinerà nelle spiagge assolate a scommettere se prevarranno annunci già fatti o affidati a “fiction” risolutive dell’ultima ora. Potremmo leggere tra le righe quanto, ancora una volta, i destini della nostra terra si decideranno in una via “in” di Milano piuttosto che nei palazzi di Roma o in Calabria nelle stanze conquistate da un potere ormai da feudalesimo di vecchia maniera, per non dire baronaggio di basso profilo, che è maturato alle corti dei partiti e dei governi di ieri, di destra e di sinistra che fossero.

La Calabria, quella Calabria che vuole superare la frammentazione e che si presenta con una consapevolezza di essere comunità - superando il senso di marginalità e di subordinazione al potere del passato- deve iniziare a ritrovare se stessa. Deve essere capace di affermare un proprio orgoglio cercando di evitare neocolonizzazioni politiche, facili proclami giustizialistici spesso senza risultato se non per affermazioni personali o a loro volta per convenienze di partito, così come si dovrebbero evitare guide senza appeal, senza sentimento verso la nostra terra e verso la nostra gente. Si tratterà di restituire ad una comunità nelle sue difficoltà la dignità di superare luoghi comuni e curare patologie funzionali anche al sistema di potere perché, in fondo se è vero che “…la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile” , richiamando Alvaro, è altrettanto vero che la trappola psicologica delle connivenze trasversali per mantenere assetti di potere per pochi è stata lo strumento migliore per giustificarli giocando sul paradosso, abbattendo il valore del merito a favore di criteri veteroclientelari.

La Calabria che vorremmo è una regione nuova, protagonista, consapevole delle proprie forze e della forza dei propri figli presenti al Sud come Nord del nostro Paese e nel mondo intero. La Calabria che vorremmo è la regione che supera per una volta le lusinghe della politica di cortile e di …corte, di qualunque corte si tratti, che tenta di rimodellare se stessa in un’ottica di capacità e non di slogan. Una regione che guarda alle mancate promesse, al disastro della sanità come alla parzialità dei servizi, alla provvisorietà degli assetti urbani come alle poche attività produttive, alla limitata se non fermata crescita dei territori come delle ferite che devono essere curate dagli stessi calabresi che ne sono i primi medici. Cure adeguate, ricercate evitando di affidarsi alle altrui magiche pozioni senza cuore, evitando di rinchiudersi, nel momento dello sconforto, o della resa, all’alibi della cattiva sorte troppo spesso usato ad arte da alcuni per far sopravvivere nell’incurabilità ricercata un utile malato.

La Calabria non ha bisogno di druidi. Essa ha necessità di affermare, una volta per tutte -parafrasando De Gasperi- la differenza sempre meno chiara per molti, tra un politico che pensa solo al risultato elettorale e personalistico e la capacità di essere statisti. La capacità di fare politica attiva, vera, di amministrare assumendosi l’onere della responsabilità dei risultati perché credibili nei fatti. Tutto questo perché, in un mondo che muta prospettive e valori, nessuno può essere lasciato indietro, perché al centro dell’azione politica di domani vi è il futuro delle giovani generazioni: in Calabria come nel resto dell’Italia.

Scritto da Giuseppe Romeo    
venerdì 18 giugno 2010 
su www.giusepperomeo.eu

Immagine in alto a destra scelta da RadioCivetta: Castello Ruffo sulla Rocca di Scilla. Reggio Calabria.
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