inquisizioneQuando  un  cittadino uscito dal carcere va in cerca di un lavoro si sente rispondere “purtroppo i suoi precedenti penali non ci permettono di assumerla”. Nonostante abbia già scontato la pena che lo ha condotto nel passato in carcere. Bollato per sempre.  La pena non finisce mai nel nostro civile Paese.  In particolare in Calabria. La Terronia per eccellenza

Ecco la lettera firmata giunta in redazione, con richiesta di pubblicazione, indirizzata al direttore di J’Accuse… ! Ernesta Adele Marando
"Gentilissima dottoressa, come già abbiamo avuto modo di sentirci ed io le ho spiegato in modo sommario la mia situazione, che poi è di tantissime persone che hanno avuto la sfortuna di scontrarsi con la giustizia. Cosi si dice, giustizia? Ma che giustizia è quella che parla di reinserimento. Ma di quale reinserimento? Appena diciamo che siamo stati in carcere e abbiamo scontato la pena, siamo allontanati come degli appestati.  In teoria dicono che  una volta scontata la pena c’è  la possibilità di reinserimento , ma e' tutta una presa in giro come sopra accennato.  Chi cade nelle maglie della giustizia è  un uomo finito mi creda.  Le cosiddette pene accessorie fanno il resto.  Ma non si parlava di reinserimento? Che senso ha  la legge Gozzini? ( In fondo all’articolo una nota con i riferimenti della legge - ndr) Io penso che sarebbe giusto, per una nazione dove la giurisprudenza dovrebbe essere praticata, dico sarebbe giusto applicare le sentenze che parlano di reinserimento nel tessuto sociale . Ma purtroppo non è  così.  Quando vado a chiedere  un lavoro  mi sento rispondere che” purtroppo i suoi precedenti penali non ci permettono di assumerla”.  Questo fino ad una settimana fa.
Allora io che da cittadino ho già  scritto per ben due volte al signor prefetto per essere ricevuto e farmi conoscere materialmente e non dagli atti processuali, ecco allora ritorna la voce reinserimento.  Ma quale reinserimento.  Per i condannati di 416 bis non c’è.  Magari per gli stragisti pentiti si. Per loro si, oppure per i pedofili per gli assassini dei propri  genitori un... certo Masi,  un certo Carretta.  Per quelli si, è  giusto.  Per noi terroni e africoti no! Mi perdoni il mio sfogo e le mie esternazioni a volte incomprensibili, ma se c'e' qualcuno che mi da l’opportunità di parlare allora si che sarò piu' dettagliato. Io spero solo di non essere stato frainteso e per qualunque chiarimento sono a completa sua disposizione. Nel ringraziarla le mando un sincero saluto  con ammirazione per quello che lei puntualmente denuncia  e per le sue informazioni cosi puntuali.
Pasquale M. (tuareg)”

RISPOSTA
frana-africo-1951-150x150Gentile signor Pasquale M., è incredibile che un “africoto” come lei si definisce,   si sia rivolto al direttore di un giornale. In preambolo spiego al mondo chi è un “africoto”. Un “africoto” è un africese, abitante di Africo Nuovo, paese nato sulla costa jonica dopo l’alluvione del 1951. Trasferito dalle montagne dell’Aspromonte sopra Bova Marina ad opera di Don Giovanni Stilo, Sacerdote cui gli abitanti di Africo dovrebbero erigere un monumento e venerarlo. Tanto il bene che ha fatto Don Stilo ai suoi concittadini e non solo. E tanto il male ricevuto. Un classico in questo porco mondo.

Un uomo mandato in carcere innocente perché dava fastidio. Aveva creato un collegio. Le scuole. Dall’asilo, alle elementari alle medie alle magistrali. Dove anche parenti stretti di  magistrati, alcuni anche suoi inquisitori, successivamente, hanno conseguito diplomi... Addirittura in una conversazione registrata in una lungo periodo di intercettazioni telefoniche durato tre anni sull’utenza telefonica dell’ignaro Don stilo, si sente la voce di un magistrato. Magistrato che aveva chiamato il Sacerdote, Rettore dell’Istituto scolastico, per un aiutino alla propria sorella perché fosse promossa agli esami per maestra.  La risposta di Don Stilo fu educata e irreprensibile. Elegante. “Eccellenza, se sua sorella supererà lo scritto, l’orale sarà più semplice”.  Come in ogni esame. Da che mondo è mondo.
Don Stilo aveva portato il progresso ad Africo e in Calabria. Con il suo Istituto”Serena Juventus”. E doveva essere calunniato, infamato. Calpestato. Eliminato. Fu riconosciuto innocente  dopo un lungo calvario processuale. Fu assolto con formula ampia dalla Corte d' appello di Catanzaro (Mammone presidente) dopo oltre tre ore di Camera di consiglio. “ Don Stilo non appartiene alla mafia”.

avvglupis rd 100Difensore di Don Stilo fu l’Avvocato Giuseppe Lupis
che si battè per dimostrare l’innocenza del Sacerdote ottenendone il riconoscimento a Catanzaro su rinvio della Cassazione.
Ma per sempre comunque bisognerà spiegare ai detrattori di professione e ai figli di questi che Don Stilo era un uomo onesto. Lungimirante, intelligente. Bisogna giustificarlo. Perché la macchia è rimasta. Il dubbio. E nei deboli di mente il dubbio resta sempre. Perché non sono in grado di ragionare. Di andare oltre.  Al Sud sono consentiti solo servi e gregari.  Prefabbricati ad arte.

il-vangelosecondodonstiloVi invito a leggere il libro dal titolo”Il Vangelo secondo Don Stilo” pubblicato nel 2009 dalla casa editrice Klipper. Autori: Belluscio e Kostner. “Il libro ricostruisce la vicenda umana e giudiziaria del sacerdote Don Giovanni Stilo. Il volume propone ampie parti del diario inedito di Don Stilo…” “www.libreriauniversitaria.it

Gli abitanti di Africo per decenni hanno usato la legge “fai da te”. Non si sentivano parte di un territorio per loro sconosciuto. Inesplorato. Molti abitanti, quasi tutti , portati a valle da un’alluvione micidiale, non avevano mai visto il mare. Per secoli erano rimasti arroccati in una nicchia della montagna e la loro etnia non si era mai mescolata con altre. Il loro arrivo alla marina, dopo avere dovuto abbandonare tutto per l’inospitalità del luogo natìo ormai, li aveva portati ad essere guardinghi. A ricorrere frequentemente  alle maniere violente per vivere.  Suscitavano il terrore nei paesi vicini. Molti tra loro non conoscevano le regole del buon vicinato. Le loro regole erano quella di una tribù medioevale.

Spesso sul “treno degli studenti” delle sette della mattina, che riversava a Locri e Siderno centinaia di ragazzi della costa e dell’entroterra, l’arrivo alla fermata di Africo era un incubo. Allora, primi anni ’70, ancora lì ad Africo, non era stata costruita la stazione ferroviaria.  Dopo vent’anni dall’insediamento del centro urbano.  Sulla statale 106.  Il convoglio si fermava ad un punto x e si assisteva al suo assalto. Una strategia “raffinata” per creare “il problema”. Attirare l’attenzione. Una provocazione. Una lunga interminabile fila indiana di ragazzi africoti. I primi ad aprire  gli sportelli e tenerli aperti fino a che l’ultimo dei Mohicani non arrivava da casa, lontana anche due chilometri. Poi si ripartiva. Falò sui binari per la richiesta di una stazione ferroviaria. La richiesta di una dignità. Lo Stato si sveglia e provvede, forse,  solo dopo innumerevoli atti vandalici. Provocati. Voluti.
Perché tutto al Sud si deve strappare con la forza. E spesso non si ottiene niente lo stesso. Ad Africo, come in ogni posto abitato dagli umani, ci sono soggetti prepotenti e violenti. Ad Africo l’arroganza si esibisce come atto di coraggio. Ma sappiamo tutti che chi è prepotente è in realtà un debole. … e per esperienza personale non ti danno retta nemmeno se vai a chiedere giustizia al posto  alla Stazione dei Carabinieri. Ti rinviano altrove. Chiedi giustizia alla procura di Locri e perdi pure la carta bollata. Hanno da fare.  A Roma si dice, quando non si vuole fare qualcosa: “L’acqua è poca e la papera non galleggia”.

La giustizia si usa come un randello. In certe procure. Non c’è personale. Questo lo sappiamo. Le cause si rinviano di anni o si archiviano. Ma… se devi punire qualcuno perché ha osato alzare il sipario e pubblicare notizie di tante malefatte, allora si “trova” il personale, un capo d’imputazione e si istituisce un processo quasi per direttissima.  Perché sia da monito. Perché non si osi più parlare. Non  si osi più  scrivere. Perché l’imputato è un giornalista. Guarda un po’. E allora le risorse ci sono. Il tempo si trova. Si scavallano processi incardinati da anni. Perché il procuratore   ha deciso che “giustizia s’ha da fa”. E subito. Gli Uffici giudiziari partono all’attacco. Ma non si rispettano le procedure… Nessun avviso di garanzia notificato all’indagato.  A cui gli si appioppa a sua insaputa anche un avvocato d’ufficio!   Poco è mancato che gli arrivasse a casa la sentenza. Senza che mai avesse saputo nulla di quanto alle sue spalle si stava consumando…   

Si richiedono gli atti in procura e si sudano sette camicie per averli. Si pretende   il rispetto delle regole e il giusto processo. Pena la nullità del procedimento.  Ok. Si riparte. E la causa si fa. In tempo di record.  E il castello costruito con carta e fango è caduto al suolo. Una difesa ineccepibile ha smontato l’accusa di calunnia a rappresentanti delle Istituzioni. La sentenza del giudice ha stabilito l’inesistenza del reato addebitato all’imputata. In tanta oscurità un giudice illuminato! Ha letto gli atti. Miracolo! Ha ascoltato attentamente la difesa. Ha valutato con obiettività i fatti e le prove. Incontrovertibili  nero su bianco nelle memorie difensive.

Perché tanta celerità per celebrare  un processo “inutile” dove anche un orbo si sarebbe reso conto che si trattava di “equivoci”. Mettiamola così.  Dove a ben guardare era l’imputata stessa ad essere la vittima di una calunnia.  E si lasciano invecchiare, scadere,  pratiche in cui si chiede giustizia per minacce di morte ricevute. Per estorsioni. Per occupazione fraudolenta di terreni privati. Misteri dolorosi… Ma non tanto.
Ho divagato un pò ma quello che ho detto era necessario alla comprensione della situazione calabrese. Della Locride. Dei paesi sulla statale 106.  Della costa più criminalizzata del globo. Prima della Bolivia. Non zona criminale. Zona criminalizzata. C’è una bella differenza. I criminali ci sono in ogni latitudine purtroppo. Ma al sud sono “più criminali”. Al Nord sono chiamati balordi. E se sono criminali provengono dalla Calabria.  
Un cittadino di Africo che scrive per lamentare una situazione assurda. E’ un segno di progresso e ha una straordinaria valenza  sociale.  Si percepiscono, dalle  parole della sua lettera, amarezza e delusione. Non va per le vie traverse, “ non assalta il treno” ma con senso di civiltà si rivolge ad un giornale per  denunciare  atti di barbarie. Di ingiustizia.  Alla richiesta di un lavoro onesto si sente rispondere: “purtroppo i suoi precedenti penali non ci permettono di assumerla”. Atti compiuti da “gente per bene” che non è mai stata in carcere. Magari solo perché è stata più furba… Perché penso che chi veramente è un persona seria e pulita dentro, anche se non beve Rocchetta,  dà la possibilità a chi ha avuto meno opportunità nella vita di ricominciare. E si ricomincia con un lavoro. Ma sembra che nel Sud questo sia quasi impossibile. E’ un serpente ch si morde la coda.

Com’è anche incredibile che in questa società, per stare in sicurezza e frequentare i salotti buoni, bisogna stare attenti con chi si beve un caffè al bar. Bisogna portare bene in vista al collo il cartellino penale. O una cosa equivalente. Si controlla prima e se il cartellino è immacolato allora  gli puoi rivolgere la parola e gli consenti di rivolgerla a te. Una lista bianca e una lista nera. Se sei stato indagato e in carcere sei nella lista nera. Per sempre. Se sei nella lista bianca, cioè incensurato e lindo, per non andare a finire nella nera devi stare attentissimo. Non rivolgere la parola a nessuno che non sia più che certificato. Insomma una guerra civile. Una barricata.  Sostanzialmente c’è uno spartiacque secco.   Di qua i puliti, gli incensurati e non chiacchierati. Di là quelli sporchi, i “chiacchierati” e pregiudicati.  Che lo saranno a vita. Anche se hanno scontato la pena. Anche se, più di quanto si possa credere, molti condannati e quindi pregiudicati sono stati buttati in galera innocenti. E buttata la chiave della cella e di un giusto processo nel cesso. Che fa pure rima.

Siamo spiati, controllati, filmati, intercettati. E spesso chi ci controlla e trascrive i rapporti non sa nemmeno mettere due parole insieme. Non ragiona. Non pensa. Ha solo tanti pregiudizi nella propria testolina. E se ti vuol fare fuori perché sei scomodo, infila una dietro l’altra  tante “perline” frutto di teoremi tanto  sballati quanto bislacchi, per poterti intanto infangare. E da cosa nasce chiacchiera. E il passo è breve per l’incriminazione. A  questo punto sei diventato un  pregiudicato e il dado è tratto. Fatto fuori. E si passa al prossimo. Al Sud si fanno fuori così tanti cittadini. Per una ragione o per un’altra. A parte quelli che si mettono d’accordo nei salotti buoni. E si spartiscono fama, scorte e pasticcini… per non dire centinaia di migliaia di euro alla faccia dei disoccupati.   Siamo in pieno regime. Dittatura dura. E il più pulito tra i politici e i giustizieri della notte  in fondo ha la rogna.

In un paese che si possa definire civile i condannati dovrebbero essere pochissimi. Perché si compiono crimini dove non c’è giustizia sociale. Si dovrebbero prevenire i crimini. Non istigarli. Spesso. Con questo non voglio certo negare che esistano soggetti fortemente disturbati che commettono crimini efferati. In questi casi tali soggetti si devono fare curare e a volte le cure non esitano a nulla. I disturbi mentali sono a volte difficilmente trattabili. Ma a parte questi casi gli altri sono legati ad un territorio dove non esistono opportunità serie di lavoro, dove c’è miseria e ignoranza. Dove non ci si sente tutelati. Dove la Legge è latitante. Dove gli stessi rappresentanti delle Istituzioni vanno a braccetto con “Cosa Nostra”.  

E se le Norme e la Legge non sono rispettati dai rappresentanti delle Istituzioni preposte, come possono rispettarle quei cittadini che si trovano in uno stato di debolezza per diverse ragioni? Non li giustifico affatto. Cerco di capire. Quei soggetti che come regola di vita usano l’intimidazione e il furto. Se esistesse la certezza di avere giustizia vera, non l’insabbiamento dei processi, o peggio, l’archiviazione di questi, forse gli stessi cittadini righerebbero dritto. Ma a questi cittadini bisogna comunque garantire sempre la dignità. Bene inalienabile.

I politici, i legislatori, i rappresentanti della Legge dovrebbero farsi carico di questo immenso problema. Bisognerebbe che per le pari opportunità, per il rispetto della Costituzione di cui molti si riempiono le ganasce,  venisse eliminato il dato sensibile  di  pene già scontate. Debito saldato con lo Stato. Finito.  Si dovrebbe potere ricominciare da capo.  Senza pregiudizio. Appunto onorare l’articolo tre  della Costituzione che dice:” Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Il mio pensiero sul 416 bis citato nella lettera del signor Pasquale M.

E’ una condanna peggiore di  quella a morte. Tanto vale reintrodurre il cianuro. Si fa prima e non si spendono soldi in secondini e vitto. Partorito da menti sadiche con il gusto della repressione armata. Bisogna prevenire e curare. Non seppellire vive le persone.  Non si arriva da nessuna parte con l’oppressione. E comunque bisogna usare le stesse misure. Come mai brigatisti assassini, fautori di stragi reo confessi, pentiti con decine di omicidi a carico sono stati messi in libertà dopo una manciata di anni in galera? E addirittura c’è tra loro chi fa politica, chi scrive dalle prime pagine di certi giornali di partito mentre i cosiddetti mafiosi calabresi vengono murati vivi… ?

Si riportano alcuni stralci, ripresi da una ricerca su internet,  della Legge Gozzini di cui   è stato scritto nel titolo e nella lettera del signor Pasquale M.
Legge Gozzini: “La legge Gozzini (legge n. 663 del 1986) viene approvata in Parlamento.  “… La legge dà attuazione all'art. 27 della Costituzione che vieta una pena detentiva in violazione dei diritti umani e afferma che la pena deve tendere alla rieducazione del carcerato. Essa, infatti, dispone una serie di misure alternative alla detenzione in carcere in favore di coloro che hanno commesso un reato…  … affidamento al servizio sociale: il criminale condannato a meno di tre anni di prigione può subire alcune limitazioni alla sua libertà di circolazione o alle sue frequentazioni, essendo però inserito in un programma di riabilitazione che prevede fra le altre cose l'inserimento del mondo del lavoro e la disintossicazione da eventuali dipendenze. Questa misura è ad esempio applicata a tossicodipendenti ed alcolisti… “
Ernesta Adele Marando  Direttore dei giornali online www.jeaccuse.eu e www.radiocivetta.eu
Roma 23 novembre 2010