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ammazzatecitutti-funerali.jpgHo appreso dai giornali che fino a Natale sono state fissate una quarantina di udienze nel processo relativo all’omicidio del dottor Fortugno. La data della conclusione? Non si conosce. Trovo che è un’eternità per un solo delitto, ma mi ricredo, ricordando quanti anni ci sono voluti per decidere se Andreotti fosse giulioandreotti.jpgcolpevole del famigerato concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso.

Ho evitato spesso di prendere posizione, temendo che le mie osservazioni potessero apparire dirette verso soggetti specifici. Per me è quasi impossibile credere che ai singoli possano essere attribuite colpe di fenomeni estesi e diffusi. Sono, infatti, arciconvinto che una serie molto lunga di incongruenze e disfunzioni è attribuibile al sistema, a cattive leggi, a prassi evolutesi peggio e alla mancanza assoluta di una critica sana e costruttiva, aliena da partigianeria. Non sono intervenuto alle udienze, ma, se mai fosse vero quello che scrivono i giornali o meglio quello che alcuni giornali locali ritengono che sia importante che i lettori sappiano) oserei dire che buona parte di quello che si è sentito finora in aula appare irrilevante.

domenico_crea_160-thumb.jpgIrrilevante il chiacchiericcio sullo sconosciuto che sarebbe stato presente nel seggio elettorale (non solo l’accusa, ma soprattutto la difesa o la parte civile, se avessero attribuito un minimo valore al fatto, avrebbero avuto i mezzi per venirne a capo dopo un anno d’indagini), irrilevante l’esame delle conversazioni telefoniche tra Marcianò e Crea, che imputato non è, dal momento che nessuno dei due nega il rapporto, irrilevante il dilemma se l’imputato Ritorto abbia parlato con la fidanzata dopo l’omicidio 21 o 53 minuti. ritortro jpeg.jpg

Irrilevante quanto e’ emerso da nove ore di testimonianza della signora Laganà Fortugno, se si esclude la nuova, insolita, degna di elucubrazioni di insigni giuristi forma di sentito dire, relativa al costo del pedinamento della vittima nella fase organizzativa dell’omicidio. Taccio sulla fonte della signora, perché spero ancora che i giornalisti abbiano capito male.

dorislomoro.jpgIrrilevante quanto ha detto l’onorevole Doris Lo Moro. Se il consiglio regionale, invece di buttare soldi per libri di fotografie ricordo delle manifestazioni di propaganda politica organizzate dopo l’assassinio, avesse raccolto in un volume tutti gli interventi del politico Fortugno, presumibilmente gl’interrogatori di congiunti, colleghi di maggioranza ed avversari politici avrebbero potuto rivelare qualche elemento d’interesse. Senza conoscere le discrasie tra il dire e il fare, tra le aspirazioni intime e le iniziative concrete, le deposizioni possono essere assimilate a puri e semplici discorsi commemorativi. Oggi, dopo le deposizioni di altri due politici il telegiornale ha annunciato che sta sfumando la pista politico-mafiosa. Mi chiedo quando mai sia stato ipotizzato un preciso movente politico con risultati concreti sul piano investigativo.

Tuttavia non si può fare a meno di spendere qualche parola sulla deposizione del presidente del consiglio regionale, che secondo il giornalista Francesco Tiziano ha donato alla corte due riflessioni-chiave per contribuire a far luce sul delitto Fortugno. E quali sarebbero queste sue riflessioni?

La prima: “Credo che vada ancora ricercato e svelato il livello superiore che abbia (il congiuntivo è un lapsus calami, linguae o è manifestazione di dubbio sull’attendibilità della sua stessa conclusione) ispirato e dato il via libera al delitto Fortugno”La seconda: “La presunta cosca mafiosa Iamonte non votò alle elezioni regionali del 2005 l’onorevole Domenico Crea. Mi risulta da informazioni certe di compagni di partito di Melito Porto Salvo, la città dell’onorevole Crea e nella quale opera la presunta cosca Iamonte”Il giornalista si entusiasma e trova l’analisi di Giuseppe Bova precisa, puntuale, lucida, profonda.

Io la trovo sinceramente inaccettabile da un lato e preoccupante dall’altro.

Inaccettabile perché non è compito di un teste fare analisi, ma solo rispondere a domande su fatti determinati.

Preoccupante, prima di tutto, perché il rappresentante del Partito Democratico della Sinistra afferma che esistevano all’interno del partito alleato della Margherita non quattro correnti, non quattro linee di pensiero, non quattro modi di valutare le priorità, ma quattro cartelli. Chi trova normale la situazione, penso che debba andare a sfogliare con cura il vocabolario italiano e decidere se cartello è inteso nel senso economico di Kartell, e quindi nell’accezione di gruppo d’imprese che si è accordato per difendere i propri interessi e controllare il mercato oppure nell’accezione non tecnica che emerge da espressioni come cartello di Medellin o cartello di Cali. Ancora più preoccupante il fatto che esistono compagni di partito con i quali si tiene in contatto l’onorevole Bova, presidente del consiglio regionale che sono in grado di dire chi fa parte di una certa cosca mafiosa e per chi ha votato. Che Calabria sventurata e condizionata da anni di esaltazione della ‘ndrangheta!!! Mi piacerebbe sapere se sia stata la difesa o l’accusa a fare la domanda su questo specifico fatto determinato, secondo le disposizioni del terzo comma dell’art. 194 del codice di rito, che cosa intendesse provare e, nel caso fosse necessario avere informazioni sullo specifico tema, se la corte abbia chiesto precise indicazioni sull’identità dei compagni di partito dell’onorevole capaci di penetrare nel segreto dell’urna.

Dopo le illuminanti premesse, il presidente Bova esprime la sua sentenza: “Sono convinto che ad autorizzare l’omicidio dell’onorevole Fortugno furono più cosche e a decidere furono poteri oscuri e illegali”. Siamo convinti pure noi che non sono state le Ancelle del Sacro Cuore o i boy-scouts di Locri, ma perché è stato permesso al teste di esprimere degli apprezzamenti personali, senza ricordagli che si trovava nell’aula come teste e non come consulente, profeta o politico?

Abbiamo certamente un grosso handicap: avere appreso le cose non direttamente, ma attraverso le parole di un giornalista che – per colpa assolutamente nostra - non conosciamo, del quale ignoriamo età, esperienze, interessi culturali, così che non possiamo ipotizzare attraverso quale invisibile cristallo egli - come tutti - veda la realtà. L’unica cosa che è chiara è che ha una stima immensa del presidente Bova.

Se le cose stessero così come vengono raccontate, in contrasto con lo spirito della legge si farebbe entrare nelle carte processuali una massa enorme di chiacchiere, che certamente intorbidano l’atmosfera e rendono accidentata la strada verso la verità. Se le cose stessero così, avrebbe ragione quel mio amico, morto qualche anno fa, che mi chiedeva se fosse peccato recitare una Ave Maria ogni sera, nella speranza che, per miracolo, fosse la legge e non la prassi a governare il comportamento amministrativo e finalmente non dovesse sentirsi dire dai suoi collaboratori, ad ogni piè sospinto “Abbiamo fatto sempre così”.

Quanto durerebbe di meno questo processo, se non si tollerasse l’ingresso di considerazioni inutili e illegittime, probabilmente per evitare di apparire omissivi in un ambiente avvelenato e condizionante? Non sarebbe stato più opportuno far celebrare il processo a Bolzano, dove nessuno ha ancora pensato di erigere monumenti, intitolare piazze e sedi di sindacati? Non pongo assolutamente in dubbio la moralità o l’integrità o il merito del dottor Fortugno, ma è certo che autorità amministrative e autorità giudiziarie, stampa e televisioni, movimenti seri e maneggioni dilettanti hanno già inculcato nell’opinione pubblica la convinzione che è incontestabile il rapporto di proporzionalità tra la prospettata importanza del politico e la potenza politico-criminale del mandante. Insomma non so chi si aspettino che sia il mandante dell’omicidio, ma il pregiudizio non fa bene ai processi.

E quanto costa allo Stato la definizione a priori di delitto politico-mafioso?

Se consideriamo il fatto che ad ogni udienza due magistrati (talvolta 3) partono da Reggio, che gl’imputati (presunti mafiosi debuttanti, non note belve sanguinarie e nemmeno capi dei capi idealizzati in tutte le televisioni ) sono collegati in teleconferenza (quindi con spese aggiuntive) e che pullulano le scorte eccetera eccetera, possiamo immaginare quanto sia necessario spendere per questo solo processo e chiederci se convenga ancora prevedere una procura antimafia, mantenendo questi stati d’incertezza sulla competenza. Ci chiediamo se non sia stato un errore eliminare il giudice istruttore e far arrivare in aula quintali di materiale allo stato grezzo. Pensiamo quale iattura sarebbe per uno stato in dissesto se invece di uno si scoprissero in queste condizioni 20 omicidi… Il legislatore dovrebbe incominciare a pensare e sul serio…

E ancora non si è parlato dell’associazione di tipo mafioso, che mi pare compaia tra i capi d’imputazione e che è un altro modo per allungare a dismisura il brodo. Ad esempio sono stati già compiuti gli accertamenti patrimoniali che la legge antimafia impone al procuratore della Repubblica di disporre in ogni caso di denuncia per il reato associativo?

Quando la legge antimafia fu approvata, dopo 17 anni di attività della Commissione antimafia ora vecchia e decrepita (come tutti gli esseri anziani la sua permanenza in vita comporta spese enormi, ingigantite a causa anche degli interventi di estetica) assistetti, come tanti italiani alla conferenza di un magistrato. Ebbi paura. Intanto la barocca definizione, nata asseritamene da pronunce della Suprema Corte, presentava, dietro un cumulo di parole, come caratteristiche tipiche dell’associazione mafiosa, elementi propri di qualunque associazione per delinquere (esiste, al mondo, un’associazione per delinquere che non punisca i traditori o non cerchi di neutralizzare i testimoni scomodi?) e specificava le sue finalità accostando a quella onnicomprensiva del commettere reati altre ipotesi specifiche di estorsioni e violenze private. Ma siccome in Italia siamo abituati a distrarci, il legislatore immaginò un’associazione mafiosa composta da tre persone, tre quanto i briganti di Ronaldo in campo e, in queste condizioni pensò che una banda potesse essere in grado di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto. Nessuno allora considerò quale tragica sfiducia nel sistema democratico tradisse questa previsione, che poi avrebbe generato il monstrum horribile dell’art. 416/ter del codice penale, indicato come scambio elettorale politico-mafioso, norma con la quale in pratica si prevede la stessa pena per il mafioso che estorce il voto con la minaccia esplicita o implicita e per il mafioso (immagino che debba essere un mafioso, dato il contesto e la rubrica) che ottiene la promessa di voto erogando denaro. Ma davvero c’è bisogno di rivolgersi alla mafia per comprare un voto in un paese in cui abbondano disoccupati e miserabili? E per quale motivo di parla di erogazione di denaro? Se il mafioso promette una nomina a consulente non è più reato? Se promette un lavoro a tempo indeterminato a un precario in servizio pubblico? E se regala un ciclomotore? E se qualcuno commette le stesse cose senza essere ancora sospettato di mafia (provvisoriamente in Calabria perché prima o dopo incapperà in una intercettazione, in via definitiva in Emilia o in Toscana, a meno che l’interessato non sia delle solite regioni meridionali) non è soggetto alla legge penale? E vi sembra che abbia qualche logica la previsione di un reato simile?

Tornando alla conferenza ascoltata, mi sembrò allora che tre fossero i pericoli più gravi che la nuova ipotesi di reato comportava.

Il primo consisteva nel fatto che, al di là di ogni formulazione, l’applicazione della norma non sarebbe andata oltre il confine di tre regioni, al massimo quattro. Fatto che si è puntualmente verificato, con l’aggravante che in molti casi, in altre regioni, l’origine dell’imputato è diventato l’elemento decisivo per contestare l’associazione di tipo mafioso piuttosto che l’associazione per delinquere. Se leggete i giornali anche un ladruncolo, uno spacciatore spiantato, un magnaccia in Calabria viene definito subito mafioso e boss. Nel caso Fortugno pensate a due duri mafiosi: il povero Piccolo e il l’altro pentito Novella…

Il secondo riguardava il fatto che associazioni ancora più pericolose, lontane dalle solite regioni sarebbero state perseguite senza troppa convinzione e mafia, camorra e ‘ndrangheta sarebbero diventate un punto di scarico di ogni tensione, il drago ignivomo contro il quale avrebbe combattuto un numero enorme di impavidi emuli di San Giorgio. Pensiamo, per un momento alle bande di motociclisti, che in alcuni paesi europei e americani sono considerate forme pericolose di criminalità organizzata e, seguendo l’onda del pensiero, arriviamo fino alle associazioni di tifosi che, recentemente, in meno di due ore sono riuscite ad organizzare devastazioni e saccheggi in tutta Italia, che ogni domenica, una volta per festeggiare ed una per sfogarsi per la sconfitta della loro squadra, bruciano macchine e sfondano vetrine, che costringono le Autorità ad arrendersi di fronte allo loro strapotere e a violare, di fatto, l’articolo 16 della Costituzione, quello sulla libertà di circolazione dei cittadini. Consideriamo il recente caso in cui, per ingraziarsi folle di teppisti o per paura delle loro reazioni, una procura della Repubblica è arrivata dichiarare doloso un omicidio al massimo colposo, il Comune di Roma ha dichiarato il lutto cittadino, pubbliche autorità hanno partecipato al funerale. Per quale merito personale? Per essersi trovato sulla traiettoria di un proiettile sparato da un poliziotto, che riteneva necessario bloccare dei delinquenti in fuga (tali erano nella sua mente coloro che con i loro comportamenti avevano indotto altri cittadini a chiedere l’intervento della polizia), non di uccidere alcuno, dopo urla e sbracci inequivocabili per convincerli a fermarsi? Che cosa manca a queste associazioni? L’omertà? Non credo, dato nessuno dei devastatori ha pensato mai dissociarsi e dire chi aveva prodotto i danni. L’assoggettamento? In quale associazione mafiosa si verifica un’obbedienza così veloce e appassionata? Forse c’è in più, rispetto allo spirito mafioso, la stupidità, perché nessun delinquente serio incendia la macchina di uno sconosciuto, per il piacere di farlo. Meglio non parlare di centri sociali e delle persone incravattate che se ne servono in modo spudorato, dato che l’argomento richiederebbe un corposo volume.

Il terzo, forse il più pericoloso, poteva essere individuato, nel carattere di delitto contenitore che chiaramente era destinata ad assumere l’associazione di tipo mafioso, in quella nebbia fumosa creata dal rincorrersi di frasi che tentano di chiarire le sue finalità. Così, da un po’ di tempo, in Calabria si sente parlare di associazione di tipo mafioso con la finalità di destabilizzare la magistratura. Non so se questo tipo di giustizia sia migliore dell’Inquisizione, dal momento che impedisce qualsiasi critica, anche a chi ha il dovere costituzionale di farla e si basa su una sorta di dogma - il magistrato è infallibile e sovrano - mentre tutto il sistema è basato sulla fallibilità del giudice e si caratterizza per la necessità del contraddittorio e dei diversi gradi di giudizio. Il neologismo “destabilizzazione”, finora estraneo alla legislazione penale, mi pare altrettanto pericoloso quanto l’altro neologismo depistaggio che servì a rovinare un bel po’ di soggetti e a lenire le frustrazioni di altri che coprivano così la loro incapacità di portare a conclusione indagini, ottenebrati dai pregiudizi e interessati a compiacere i loro amici politici.

E allora non esiste la criminalità organizzata? Esiste certamente ed è molto pericolosa, ma non può essere combattuta né con proclami né con convegni e seminari né con manifestazioni e fiaccolate né con leggi manifesto né con la partecipazione a funerali, insomma non con attività che servono a dirottare le forze di polizia a scortare migliaia di anime buone; e tanto meno può essere contrastata con gli studi di persone che si autonominano esperti e, con loro spesso strampalate conclusioni, finiscono per diventare veri e propri promotori della organizzazione criminale. Che cosa ha a che fare Provenzano, che vive in un casolare di campagna da contadino, con i mafiosi che fanno immaginare alcuni analisti e descrivono gli sceneggiatori televisivi, stramiliardari e più eleganti di un Presidente della Camera dei deputati, circondati di belle donne in palazzi lussuosissimi e stracolmi di opere d’arte? E Morabito, il cosiddetto Tiradritto, presentato dai giornali come una sorta di capo dei capi, è stato arrestato nel suo palazzo di Miami, mentre faceva rullare il suo aereo personale in attesa di andare a Washington a prendere il caffè con Bush, portando la sua moka d’oro massiccio?

Mentre vedo avventarsi gioiose macchine di guerra contro lavavetri, mentre assisto alla campagna contro i baraccati, mentre vedo lanciare crociate contro la prostituzione minorile, mentre vedo marcare con i soldi pubblici “maschio, femmina e omosessuale” i neonati, mi chiedo in quale campo di concentramento porteranno gli stranieri che lavano i vetri, se prenderanno in affitto a Dubai una catena di grandi alberghi per i Rom, se pensano di appaltare il servizio prostitute redente alle suore di clausura, se daranno un’abitazione decente ai baraccati, se sanno che cosa fare dei bambini destinati ora all’accattonaggio, se pensano ancora di minacciare il carcere ai cittadini per il rapporto con una prostituta, maggiorenne o minorenne che sia o se credono veramente che i cittadini possano essere gabbati con lo spettacolo di ruspe che travolgono tavole e lamiere, con l’apertura di tavoli di lavoro, la confezione di pacchetti di rifiuti fritti e rifritti o con le penose iniziative nei confronti della Romania…

Spero, comunque, che si smetta di parlare di “tolleranza zero” in un paese in cui i poliziotti non hanno alcuna discrezionalità e vengono minacciati di omissione di atti di ufficio se non contestano un divieto di sosta. Quella di Rudolph Giuliani fu solo una spaventosa campagna pubblicitaria e i suoi effetti reali mediocri.

Concludo. In questi giorni, sotto il fuoco delle critiche contro i privilegi attribuitisi dalla classe politica, si è adottata come tattica difensiva quella di inventarsi l’esistenza di una contrapposizione tra antipolitica e politica: slogan ipocrita, dato che è chiaro che nessuno si scaglia contro il sistema democratico e nemmeno contro i privilegi economici, ma contro l’inettitudine, la corruzione, l’ipocrisia, la superficialità nell’affrontare i doveri della funzione legislativa, il costume di affidare alla burocrazia ministeriale o a circoli esterni la redazione delle leggi, la ricerca di forme di autolegittimazione nuove per impedire il ricambio.

Facciano i grandi leaders un esame di coscienza e si chiedano se possono negare che, come mi suggerisce un mio confratello straniero, sicurezza pubblica e giustizia oggi appaiono caratterizzate in Italia da cinque ESSE: SCORTE, SCARTOFFIE, SPETTACOLO, SPROPOSITI E SESSO, che coprono con una nube nera tutto quello che si fa di buono. Il confratello mi ha spiegato anche perché e mi ha quasi convinto. Pensateci e, se avete qualche dubbio, ne parlerò in un altro sproloquio.

Fra Dionisio Ponzio