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RELAZIONE PER L’APPROVAZIONE DI UNA PROPOSTA DI LEGGE PER LA REVISIONE SPECIALE DELLE SENTENZE PENALI DI CONDANNA

Prima dell’approvazione della Legge Costituzionale n. 2 del Novembre 1999, era stato posto, più volte, il problema di adeguare la legislazione italiana al rispetto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, introdotta in Italia con la Legge del 4 Agosto 1955, n. 848, era rimasta, per quarantacinque anni inapplicata al punto da costringere il Parlamento a introdurre il testo dell’articolo 6 della Convenzione nell’articolo 111 della Costituzione.
Migliaia di Cittadini, in quarantacinque anni, sono stati condannati senza che venisse applicata la norma che avrebbe dovuto garantire che la loro causa fosse “…trattata imparzialmente e da un giudice indipendente e imparziale…”. L’articolo 111 della Costituzione, nel testo modificato nel 1999, ha sancito una simile realtà. Non ci sarebbe stato necessità, infatti, di modificarlo ricopiandoci il testo dell’articolo 6 della Legge 848 del 1955 se quest’ultima norma fosse stata applicata.

Nel corso della XIII legislatura, e prima dell’approvazione della riforma dell’articolo 111, dopo avere verificato quali disfunzioni avesse provocato l’inosservanza della Legge nello svolgimento dei processi, specie penali, era stato proposto al Parlamento di approvare una Legge che consentisse a giudici indipendenti e imparziali di riesaminare, imparzialmente, sulla base delle nuove norme via via approvate per arrivare a un “ giusto processo”, le vicende dei Cittadini già condannati con sentenze definitive sulla base di dichiarazioni accusatorie di c.d. “pentiti” o prevalentemente in base a tali dichiarazioni.

Recenti avvenimenti hanno conferito grande attualità, confermandone la delicatezza e rilevando la fondatezza di allarmate riserve, alla questione dei cosiddetti pentiti e del valore da attribuire, ai fini probatori, alle loro dichiarazioni. La rilevanza e l'efficacia, quali fonti di prova, delle dichiarazioni di correi ed imputati di reati connessi, tanto piú se usufruenti, in quanto collaboranti, di sconti ed esenzioni di pena e di altri trattamenti premiali, sono state oggetto, fin dagli anni in cui cominció a farsi ricorso all'opera dei cosiddetti "pentiti" del terrorismo, di controverse valutazioni e di discussioni sia sul piano teorico e sistematico, sia sul piano pratico dell'utilità e della garanzia per l'imputato e per la conoscenza della verità. La riforma del processo penale prometteva di tenere conto di tutto questo, prevedendo finalmente un regime della prova che, seppure in embrione, contenesse princípi importanti che negli ordinamenti piú garantisti erano stati accolti da tempo. Per adempiere a questo impegno era stato introdotto il principio secondo cui la cosiddetta "chiamata in correità" dovesse essere valutata unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità (articolo 192). E ancora era stato previsto che gli indizi, per poter consentire l'accertamento di un fatto penalmente rilevante, dovessero essere gravi, precisi e concordanti. Era stata finalmente bandita dal nostro ordinamento la figura della testimonianza "per sentito dire", fonte di innumerevoli equivoci ed errori in danno di chiunque avesse la sventura di trovarsi coinvolto in qualche vicenda giudiziaria (articolo 195).

Si era sperato che, alla luce di queste nuove norme, avrebbe dovuto essere per chiunque piú difficile architettare processi come quelli per cui, purtroppo, ancora oggi vi sono nelle carceri italiane molti innocenti vittime della giustizia dell'emergenza. Sono uomini, donne che, tipico l'esempio di Enzo Tortora, sono stati ingiustamente accusati, incarcerati e molti, poi, condannati definitivamente con sentenze inqualificabili, pronunciate da magistrati succubi di una logica (quella della giustizia dell'emergenza) per cui il fine (la lotta a questa o quella forma di criminalità organizzata) giustifica i mezzi (anche quelli contrari alla legge che violano le piú elementari regole della giustizia). Lo Stato democratico non puó e non deve considerare queste ingiustizie come monumenti intangibili di un oscuro passato e di un presente che tale passato vuole perpetuare, se pure si dice di voler superare.

Non possiamo ignorare che tutti gli ordinamenti piú progrediti prevedono procedure agibili e ricche di garanzie per la revisione delle sentenze di condanna, possibile oltre che in presenza della "prova assoluta dell'innocenza" dell'accusato, anche per quella dell'inconsistenza dell'accusa.

L'assenza di tali procedure nell'ordinamento italiano, ha contribuito a creare una mentalità della continuità del sistema probatorio e a promuovere la continuazione di intollerabili abusi. L'esigenza di definitività e certezza del giudicato penale deve trovare un punto di equilibrio con l'opposta, fondamentale esigenza di non porre mai limite alla ricerca della verità (ancorchè emersa dopo la conclusione dell' iter normale del procedimento), quando questa dimostri l'innocenza di un condannato e l'inconsistenza, talvolta la strumentalità dell'accusa a fini diversi dalla corretta amministrazione della giustizia. A queste considerazioni, legate anche a problemi di armonia del regime transitorio tra il vecchio ed il nuovo codice di procedura penale, si ispirava la proposta di legge n. 5085 che nella X Legislatura fu presentata dai deputati Mellini ed altri, appartenenti a diversi gruppi parlamentari espressioni di un ampio ventaglio di posizioni culturali e politiche. Tale progetto non fu discusso alla Camera. Negli anni seguenti nuove valutazioni dei delicati problemi cui l'iniziativa intendeva far fronte sono intervenute e questioni nuove sono sorte. Il fenomeno del "pentitismo", esaurita la sua funzione nel settore della criminalità terroristica, si é esteso a quello della criminalità comune organizzata, con proporzioni impreviste. Il ricorso ai pentiti é divenuto strumento centrale di ogni indagine di rilievo, mentre nuove forme premiali sono state introdotte. Non é questa la sede per fare un bilancio di tale fenomeno e neppure per enumerare tutti gli inconvenienti che si sono manifestati. Quello che sembra certo é che non pochi casi di manifesto mendacio da parte di cosiddetti "collaboratori di giustizia" si sono rilevati, spesso dopo che gravi danni per la giustizia e per i cittadini si erano realizzati. Molti pentiti, ritenuti assolutamente attendibili in determinati processi, sono risultati inattendibili e mendaci in altri. I rimedi e le sanzioni per tali episodi sono stati pressochè nulli e spesso evidente é risultata la mancanza di un fermo intendimento di perseguirli.

Da ultimo, episodi particolarmente inquietanti per la pubblica opinione si sono verificati, fino a consentire di ipotizzare veri e propri complotti da realizzare con l'arma del "pentimento", utilizzata persino per tentare di discreditare, fino all'incriminazione in procedimenti penali avulsi anche da qualsiasi regola sulla competenza, i giudici (Alcuni nomi tutti: il Presidente della prima Sezione penale della Corte di cassazione, Corrado Carnevale; il Dr. Bruno Contrada, le cui vicende processuali, con esiti diversi a PALERMO hanno avuto la stessa origine) che hanno rifiutato di piegare la giurisdizione a esigenze politiche o di lotta ribadendo la funzione di interprete imparziale della legge in procedimenti penali per l'accertamento di fatti e non la soddisfazione di altre pulsioni.

Tutto ció sta a testimoniare che i problemi evidenziati da situazioni di carattere "transitorio" permangono, ed anzi si sono aggravati, nel protrarsi di situazioni anomale, e di grandi incertezze e sconvolgimenti.

Il Parlamento non puó restare inerte di fronte a un simile fenomeno, descritto nel suo sviluppo nelle pagine da 108 a 114 in un testo di un autore insospettabile di compiacenze o di simpatie per qualsiasi fenomeno criminale e i suoi responsabili. Si tratta di "Emergenza Giustizia", scritto da Carlo Nordio, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia, pubblicato da Cantiere Italia e, come avverte l'ultima pagina, "Finito di stampare nel mese di maggio 1999 dal consorzio artigiano "L.V.G."" - Azzate (Varese). La lettura di quelle pagine spiega scientificamente il meccanismo con il quale nuclei di pentitisti, associati a delinquere, hanno turlupinato, fino a oggi almeno, la giustizia in numerosi, gravissimi procedimenti penali, dal Nord al Sud della penisola italiana, e come stiano tentando ancora piú di turlupinarla avendo acquisito la libertà, riprendendo l'attività di spaccio, assassinii, sequestri, delitti d'ogni genere.

Nelle pagine richiamate si legge:

"... il massimo del contributo informativo puó provenire soltanto dal massimo dei criminali. Ma non tutti i delinquenti sono come i brigatisti. Costoro si battevano per una causa ideale: perversa, sbagliata e utopistica, ma completamente svincolata da interessi personali. Gli obiettivi erano perseguiti con una spietata efficienza burocratica, mai con inutili crudeltà. Nell'ottica del brigatista interessava colpire il simbolo non l'uomo, anche se il simbolo era una modesta guardia carceraria che lasciava la famiglia nella miseria e nel dolore. Non erano sensibili a nulla, se non alla visione apocalittica di un capitalismo sfruttatore e rapace, destinato alla rovina provocata dal loro intervento messianico. Non uccisero mai senza una rigorosa selezione: usarono le armi da fuoco, mai le bombe; fecero attentati, mai stragi; intervennero con il bisturi, mai con la clava. Piú volte rinviarono l'azione perchè la vittima era accompagnata da un famigliare o da un amico. Quando ferirono per sbaglio un passante chiesero scusa. Questa apparente apologia puó sembrare singolare, visto che l'autore di queste pagine ricevette varie lettere autenticate dalla stella a cinque punte: ma nell'ottica di un magistrato é necessario valutare i fatti sotto il profilo criminologico non sotto quello emotivo. Le Br furono un'organizzazione politico-militare seria, elitaria e isolata. Era un bubbone ben circoscritto, che poteva essere divelto, come in effetti fu, con un intervento mirato. E il bisturi fu l'intervento dei pentiti... ... Questa lunga digressione é necessaria per capire l'equivoco sul quale é sorto il fenomeno dei pentiti: poichè infatti la strategia aveva avuto successo nella lotta al terrorismo, si credette efficace anche in quella alla criminalità organizzata. Soprattutto dopo le stragi di Falcone e Borsellino si volle a tutti i costi battere la via, spregiudicata ma utile, che aveva consentito di catturare gli assassini dell'onorevole Moro. Senza tener conto che mafia e camorra non avevano assolutamente nulla in comune con il terrorismo eversivo, salvo in un punto. Questo aspetto era costituito dalla rigorosa compartimentazione degli appartenenti e dalla inesorabile fine che attendeva ogni dissociato. Di conseguenza valeva il principio, già espresso, che il pentito fosse un male necessario. Le informazioni potevano arrivare solo dall'interno, e quindi da un mafioso. E tanto maggiori erano le sue conoscenze quanto piú elevata era la funzione, che a sua volta derivava da una corrispondente esperienza criminale: si diventa capi dopo un adeguato cursus honorum costellato di delitti. Ma, a differenza dei terroristi rossi, i gerarchi della delinquenza mafiosa sono, per definizione, piú spregiudicati e inaffidabili. Agiscono per motivi e con strumenti esattamente opposti a quelli dell'ascetica spietatezza brigatista. Mirano al denaro e al potere, non alla catarsi etica di una palingenesi proletaria. Uccidono per interesse, per vendetta e per intimidazione, senza badare al costo globale. Per eliminare un avversario sono disposti a far saltare un palazzo, un'autostrada o un intero rione; per vendicarsi di uno sgarro diventano tagliagole, incaprettatori e macellai. Possono strappare il cuore della vittima e mangiarselo; possono dissolvere nell'acido un bambino innocente. Cosa hanno in comune questi figuri con Curcio, Faranda e Braghetti? Niente. Il mafioso convertito dev'essere ascoltato sempre, creduto mai. Almeno fino a prova contraria. Perché? Perché non si puó affatto escludere che per convenienza, timore, o magari ravvedimento sincero, il collaborante dica la verità. Ma é questo il punto fondamentale. Poichè il pentito facilita a dismisura lo svolgimento delle indagini, l'atteggiamento quasi automatico dell'inquirente é quello di dargli credito; e poichè, di converso, il trattamento penitenziario ed economico del primo dipende dalle decisioni del secondo, si instaura un circolo vizioso nel quale entrambi si confermano a vicenda. Su questo il legislatore ha peccato di ingenuità grossolana. Anche qui, il punto di partenza é costituito dall'esperienza straniera: come per il codice, anche per i pentiti di mafia si é voluto copiare l'esperienza statunitense, che ha dato buoni risultati.

Detto in sintesi, in America funziona cosí: gli inquirenti si accordano con un dissociato che intende collaborare, e redigono un vero e proprio contratto dove, come in tutti i contratti, vi é un dare e un avere. Il pentito racconta tutto: persone, luoghi, fatti specifici. Naturalmente si obbliga a raccon tarlo in tribunale, dove la difesa avversaria, si presume, proverà a demolirlo. Il governo concede in cambio l'immunità, la protezione e l'assistenza economica. Inutile aggiungere che nel rigoroso codice americano non sono ammessi trucchi o riserve mentali. Alla prima infrazione, il contratto si risolve. Anche qui il pragmatismo che accompagna il puritanesimo dei padri pellegrini puó suscitare perplessità. Tuttavia, a modo suo, é un riflesso della lealtà sulla quale poggia tutto il sistema d'oltreoceano, quello per il quale si puó incriminare un Presidente non per i capricci con la segretaria, e nemmeno per il goffo tentativo di definirli impropri, ma per il fatto di avere mentito. Negli Stati Uniti, dal giuramento solenne alla carta di credito tutto poggia sulla fiducia, e sul principio tipico del diritto romano che chiunque, fino a prova contraria, é presunto onesto. E tanto é benevola questa attitudine, tanto é spietata la punizione se essa viene delusa.

Per quanto riguarda i pentiti questo sistema, che potrà anche non piacere ma ha comunque una sua grandiosa coerenza, poggia su due princípi: il primo é la differenziazione tra l'autorità che protegge il pentito e quella che lo interroga. La protezione é questione di sicurezza tecnica, e va affidata a corpi specializzati. L'indagine é invece questione di tecnica giudiziaria, e va affidata a funzionari e prosecutors di tutt'altra competenza. Il problema non é soltanto di preparazione professionale, é di sostanza e in fondo, anche qui, di lealtà. Tutti sanno che in ogni forma di limitazione della libertà - persino in quelle brutali dei sequestri di persona - si instaura un rapporto ambiguo e perverso tra carceriere e prigioniero, noto agli psicologi come "sindrome di Stoccolma". In pratica chi dipende da un altro per il cibo, la pulizia, il controllo e in definitiva l'intera esistenza, tende alla fine a identificarsi con quest'ultimo. C'é dunque il rischio che il collaborante venga influenzato da chi lo protegge, e tenda a raccontargli quello che il carceriere vuol sentirsi dire; senza esserne costretto o invitato, ma semplicemente anticipandone i desideri, traendone in piú vantaggi sostanziali.

Ovviamente, tra i delinquenti piú furbi e smaliziati, la tentazione di raccontare bugie per aumentare la valenza della propria prestazione non é temperata da alcuna regola morale. Una volta individuato l'obiettivo dell'inquirente, é impresa facile raggiungerlo con una calunnia corredata di verità. L'inquirente - che si presume sempre in buona fede - in questa trappola si caccia da solo. É perfettamente logico che, dopo aver recuperato la droga, individuato una "raffineria" e magari liberato un ostaggio a seguito delle dichiarazioni di un mafioso, tenda a credergli nel prosieguo del flusso informativo. Il fatto é che il mafioso di rango allunga la polpetta avvelenata quando le precedenti pietanze si sono rivelate succulente. Ecco il pericolo mortale nel quale non bisogna cadere. Il percorso attraverso il quale si arriva alla méta é comodo e agevole come quello che porta all'inferno. Nomi circostanze, riscontri, corpi di reato sono tutte chÍcche che vengono offerte come una seducente garanzia di affidabilità. Magari si sacrifica qualche complice, come fanno i doppiogiochisti dei servizi segreti durante la tradizionale guerra di spie. Piú banalmente, si attua la strategia dei truffatori di tappeti. Paghi il primo, poi i primi dieci e poi altri cento. Diventi affidabile presso il grossista, e ne ordini a credito diecimila. L'allocco te li manda e tu scompari...

... ... Per evitare questo, negli Stati Uniti il collaboratore di giustizia viene isolato. Non é una precauzione sufficiente, ma é necessaria. Per diventare ancor piú efficace, tuttavia, é accompagnata da un rigoroso aut aut temporale. E qui siamo al secondo principio. La tendenza ad assecondare le aspirazioni inquisitorie di chi lo interroga, si sviluppa nel pentito in maniera progressiva. Nel senso che, durante la fase dei colloqui, egli percepisce il vero obiettivo cui l'indagine tende. Non che sia un obiettivo inventato. Al contrario. Il pm, essendo convinto, magari per la confidenza di altre fonti, di avere imboccato la direzione giusta, concentra su quella la sua doverosa attenzione. E il pentito se ne accorge. Se quei colloqui durassero pochi giorni o settimane - tempo durante il quale si possono raccontare dieci vite - il rischio sarebbe limitato. Ma se invece, come da noi, durano anni, il pentito ha tutta la possibilità di elaborare, e fors'anche di concordare con altri figuri del suo stampo, qualche nuova versione che considera vantaggiosa. Abbiamo quelle che in gergo si chiamano le rivelazioni a orologeria. Già di per sè dovrebbero essere sospette. E possibile che, dopo due o tre anni di collaborazione, un pentito ricordi improvvisamente un fatto destinato a finire nei libri di storia? Non é possibile. E quindi i casi sono due: o il fatto é vero, e allora il soggetto dimostra di calibrare le sue confessioni con una malizia interessata, e comunque senza quella totale adesione all'accordo che dovrebbe esprimersi in un contributo completo e immediato: oppure il fatto é falso, e allora l'intera indagine é compromessa. Anche le circostanze vere vengono pregiudicate da questa vergognosa calunnia. Un rischio mortale. Questo non é nemmeno il peggio. Il peggio é rappresentato dall'arma diabolica che l'ex galeotto puó agitare nei confronti di politici, magistrati, poliziotti, imprenditori, con cui in un modo o nell'altro abbia avuto a che fare. L'arma del ricatto, o comunque dell'intimidazione. Non occorrono accuse clamorose di nefandezze specifiche, che potrebbero sembrare inverosimili, o comunque essere facilmente smentite. É piú semplice l'allusione ambigua, il riferimento generico, il richiamo insinuante nella sua apparente, sobria, naturale spontaneità. A questa anticipazione segue, com'é naturale, la divulgazione privilegiata e pilotata attraverso la compiacente collaborazione della stampa amica. Quella che, attraverso il massimo riserbo, fa subito intravedere clamorosi sviluppi gravidi, come si dice, di interrogativi inquietanti. É facile intuire che, di fronte alla benemerita opera di moralizzazione di questa stampa acritica e gregaria, il cittadino é indifeso. Poi magari si scopre che il pentito, pentitosi del pentimento, nel frattempo ha ripreso a delinquere. Una vergogna.

Qual é il correttivo adottato dagli americani? Semplice: si dà carta e penna al pentito, che viene isolato. Niente domande suggestive, che possono mascherare un'imbeccata. Niente viavai di inquirenti e soprattutto niente confronti o adattamenti con le dichiarazioni di altri pentiti. E il collaboratore di giustizia deve scrivere tutto quello che sa, spontaneamente e senza riserve mentali. Certo, i dettagli potranno essere chiariti e integrati in avvenire. Ma solo i dettagli, non le rivelazioni clamorose. Dopodichè si passa ai riscontri. É ovvio che questi siano fatti di contorno: se fossero fondamentali sarebbero essi stessi delle prove, non delle conferme. Se un pentito mi dice che Tizio tiene in casa la droga, e a casa di Tizio trovo un chilo di cocaina, questa é una prova che vale da sola. Se io trovo soltanto tracce di cocaina, é un riscontro all'accusa del pentito. Ma é un cosiddetto riscontro oggettivo cioé un elemento indiziante di natura diversa da quello che deve essere confermato. É un fatto, non una dichiarazione. Perchè questo é il problema: se le parole di un pentito sono per definizione ambigue, non possono essere avallate da quelle, ancora piú sospette, di due o cento pentiti. Come due cretini non fanno un intelligente, cosí due inaffidabili non fanno una persona credibile. Alla prima smentita, che dimostri la malafede e l'inattendibilità del collaboratore, l'accordo salta, e la sanzione é severa. Ancor piú severa, comunque, é la privazione della tutela. Lo Stato ritira la protezione, e non é una situazione simpatica. Ritorneremo piú avanti su questi concetti fondamentali. Per ora é sufficiente anticipa re che, come per il processo penale, abbiamo mutuato dall'esperienza statunitense questo sistema, adattandolo a un buonismo farisaico aggravato dalle nostre lentezze, creando piú problemi di quanti ne siano stati risolti. Ripetiamolo ancora una volta a scanso di equivoci.

Nessuno nega l'importanza dei pentiti: abbiamo già detto che sono un male necessario. L'errore é stato quello di trasferire un'esperienza positiva, maturata nella lotta contro il terrorismo, in un ambito completamente diverso come quello della criminalità comune organizzata. Fenomeni che non differiscono soltanto nella fortissima motivazione politico-ideologica che caratterizza il primo e che manca nella seconda, con la profonda diversità di codice comportamentale che ne consegue. Differiscono per tradizione, estensione topografica, radicamento nei costumi e, non ultimo, reazione popolare. Non possiamo, e non ne saremmo neppure capaci, tracciare un profilo storico della mafia e delle altre forme di illegalità diffusa che, a sentire gli allarmi degli organi competenti, hanno sottratto al controllo delle forze dell'ordine mezza Italia meridionale, e stanno per sottrarre il resto; ma é certo che, quanto meno in origine e per un lungo periodo, godettero del favore, dell'appoggio o almeno della benevola condiscendenza di parte della popolazione. Furono viste talvolta come il surrogato di uno Stato oppressivo nelle imposte, iniquo nella giustizia e impotente nell'amministrazione. Furono soccorrevoli per gli adepti quanto spietate per i traditori, e sostituirono l'autorità costituita quando questa si dimostró assente o distratta, ed ebbero, a modo loro, un codice d'onore. L'avvento della droga e le lotte intestine hanno introdotto una crudeltà sanguinaria e gratuita al posto delle punizioni selettive e ponderate un tempo inflitte secondo procedure rigorose. Ma ormai il fenomeno é cosí diffuso da non poter piú essere affrontato in termini giuridici o polizieschi. Se le Br erano un bubbone isolato, questo é un cancro in via di metastasi. Non sappiamo se esistano e quali siano gli strumenti di lotta. Sappiamo che non possono essere quelli, o soltanto quelli, adottati contro il terrorismo...".

La lettura delle pagine che precedono consente di verificare che quanto descritto, a conclusione di una lunghissima esperienza giuridico-investigativa maturata in centinaia di inchieste dall'autore denuncia perfettamente la condizione in cui si é venuto a trovare il processo penale italiano a causa dell'eccessivo utilizzo dei pentiti. É per tale ragione che s'é posta, con un apposito disegno di legge, l'urgenza di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno del pentitismo. (atto Senato n. 3970).

Ma i dati che si ricavano dalla realtà quotidiana, anche solo riferita nelle cronache giudiziarie, documentano - la vicenda della revisione della sentenza di condanna di Sofri, Bompressi e Pietrostefano é un esempio che vale per migliaia di altri cittadini, non altrettanto noti o visibili non avendo la possibilità di esprimersi, anche in maniera continuativa, sulla stampa e attraverso radio e televisione - specie per cittadini residenti nel Sud della penisola, o da tale zona originari, la difficoltà di ottenere un processo di revisione di sentenze di condanna emesse sulla base di dichiarazioni non solo di singoli pentiti, ma di associazioni a delinquere di pentitisti i quali, sostituiti nella lupara i proiettili caricati a pallettoni con le calunnie, "... sfruttando la forza intimidatrice del vincolo associativo e lo stato di assoggettamento e di omertà che ne deriva..." ( anche con il meccanismo descritto della "Sindrome di Stoccolma" nel testo citato ) hanno fatto arrestare e processare migliaia di cittadini, ottenendo in cambio benefici impensabili e la libertà, e con essa di riprendere a delinquere, non solo con gravissimi danni per la giustizia ma per l'intero corpo sociale.

Si é ritenuto quindi di prevedere, con il testo oggi proposto, un'estensione del regime di revisione modificato, anche a quelle sentenze definitive pronunciate dopo l'entrata in vigore nel nuovo ( ma ormai vecchio ) codice di procedura penale in base a siffatti elementi di prova.

É bene ricordare che é la stessa Costituzione a prevedere la fallibilità del sistema processuale penale, stabilendo nell'articolo 24, ultimo comma, che la legge "... determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari" e ció, naturalmente, indipendentemente dalla facilità o dal momento del loro accertamento. É quindi la legge fondamentale della nostra Repubblica a postulare una particolare ampiezza di mezzi che favorisca sempre e comunque la ricerca della verità in favore dell'innocente, quando é necessario, anche al di là della preclusione formale del giudicato. É quanto viene previsto in questo progetto di riforma della disciplina dell'istituto della revisione delle sentenze di condanna, frutto dell'iniziativa e degli studi dell'Associazione per la Giustizia ed il Diritto "Enzo Tortora", con una nuova formulazione dell'articolo 630 del codice di procedura penale. Il testo prevede che possa essere richiesta la revisione della sentenza anche nell'ipotesi in cui la condanna, divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore del nuovo codice, o anche successivamente per i procedimenti in corso col vecchio rito alla data del 24 ottobre 1989, sia stata pronunciata in violazione dei princípi stabiliti negli articoli 192 e 195 del nuovo codice.

Si é voluto cosí garantire a tutti coloro che sono stati vittime innocenti della giustizia dell'emergenza il diritto ad un nuovo processo per la revisione della sentenza di condanna. Il condannato potrà chiedere la revisione anche quando risulti evidente che la condanna fu pronunciata per "errore di persona". Nel progetto sono anche previste l'abrogazione dell'articolo 631 e la riformulazione del comma 1 dell'articolo 634 e dell'articolo 641 del codice di procedura penale, che prevedono, come osservato, un rigidissimo sistema di sbarramento che, attraverso una troppo ampia discrezionalità del giudice nel dichiarare l'inammissibilità della richiesta di revisione, é addirittura giunto a vanificare del tutto il rimedio previsto contro le sentenze ingiuste, pur in presenza di nuovi elementi che dimostrino l'innocenza del condannato.

La richiesta di revisione potrà essere riproposta in ogni tempo da tutti i soggetti legittimati, anche sulla base degli stessi elementi in precedenza ritenuti infondati, proprio per evitare una preclusione che potrebbe dimostrarsi fatale per la vita di un istituto che, mirando a correggere i molti errori giudiziari, non puó essere sacrificato in ossequio alla solita logica ipocrita dell'"economia processuale".

Si é anche previsto, in piena sintonia con la piú recente normativa, che il giudice chiamato a pronunciarsi prima sull'ammissibilità della richiesta di revisione, poi sulla sussistenza di una delle ipotesi previste dall'articolo 630, sia un giudice naturale diverso da quello che in qualche modo ha avuto a che fare con le vicende del processo culminato in una decisione ingiusta. Ecco perchè viene indicata come competente la Corte d'appello piú vicina a quella nel cui distretto si trova il giudice che ha pronunciato la sentenza da revisionare. Si é ritenuto inoltre opportuno coordinare il testo dell'articolo 637, comma 3, con quanto previsto dalle lettere e) ed f) dell'articolo 630, stabilendo che in questi casi il giudice potrà pronunciare il proscioglimento anche solo sulla base di una nuova e diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio.

Un ultimo cenno é giusto dedicare all'articolo 7 del disegno di legge che, modificando l'articolo 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, prevede che nei procedimenti in corso al 24 ottobre 1989 debba trovare applicazione anche l'articolo 195. Questa importante innovazione introdotta dal nuovo codice circonda delle dovute cautele la testimonianza indiretta al fine di consentire una cosí delicata forma di testimonianza solo quando sia reso possibile un qualche controllo sulla fonte della conoscenza. Oggi, senza un coordinamento come quello previsto dall'articolo 7 del presente disegno di legge, potrebbe infatti, arrivarsi all'assurdo che, celebrandosi nella stessa udienza davanti allo stesso tribunale due diversi procedimenti, l'uno istruito con il vecchio rito l'altro avviato con il nuovo, il giudice potrebbe giudicare sufficiente per pronunciare la condanna di un imputato una testimonianza de auditu che, al contrario, proprio in forza dell'articolo 195, mai potrebbe giustificare la condanna dell'altro.

Siamo fermamente convinti che il miglior modo per difendere il nuovo codice di procedura penale, e per impedire che sia tradito lo spirito dei principali criteri ispiratori di esso e le novità piú interessanti che la dottrina processualpenalistica ha trasfuso in questo corpo, é cercare i suoi limiti, le sue lacune e le sue incongruenze, per migliorare il contenuto con riforme coraggiose che finalmente soddisfino il sentimento di giustizia della gente, umiliato troppo a lungo dalle diverse emergenze e dalle leggi e prassi proprie di tale periodo, che hanno consentito a taluni magistrati la realizzazione di intollerabili ingiustizie. Al contenuto della relazione, oltre alla premessa, si ritiene di dovere aggiungere solo il richiamo per un rapido esame della proposta di Legge che ripristini la possibilità di un processo imparziale, da parte di Giudici indipendenti e imparziali, per i Cittadini condannati con sentenze definitive che non sarebbero state emesse quando si fossero applicate le nuove Leggi, votate dal Parlamento successivamente alla loro condanna.
 
DISEGNO DI LEGGE

Art. 1. 1. L'articolo 630 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente:
"Art. 630. - Casi di revisione. - 1. La revisione puó essere richiesta:
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 e 531;
d) se é dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato;
e) se la motivazione della sentenza di una condanna divenuta irrevocabile prima del 24 ottobre 1989 o anche successivamente a tale data quando si tratti dei procedimenti indicati nell'articolo 245 delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice, si fonda su indizi nè gravi, né precisi, nè concordanti, ovvero sulle dichiarazioni rese da coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato a quello per cui si procede, che siano state valutate, anzichè unitamente ad altri elementi di prova che ne abbiamo confermato l'attendibilità, sostituendo a questi le dichiarazioni indimostrate di altri correi o imputati in procedimenti connessi. La revisione puó essere altresí richiesta quando la motivazione sia fondata su dichiarazioni rese nel procedimento da uno o piú testimoni coimputati o imputati di reato connesso che si siano riferiti, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone;
f) quando risulta che la sentenza sia stata emessa sulla base delle dichiarazioni di un coimputato o di un imputato di reato connesso o di un teste imputato di altro reato per il quale abbia usufruito dei benefici previsti per la sua collaborazione, che sia stato ritenuto inattendibile in altro procedimento o che, successivamente alla sua deposizione, abbia commesso reati della stessa indole, di falsa testimonianza, false dichiarazioni al Pubblico ministero e calunnia e ció anche quando, ai fini della sentenza soggetta a revisione, la deposizione sia stata valutata assieme ad altri elementi di prova;
g) se risulta evidente che la sentenza o il decreto penale di condanna furono pronunciati per errore sulla persona dell'imputato o comunque in base a prove raccolte con errore sulle persone, cui i fatti accertati si riferiscono, ritenuti rilevanti e determinanti per la sentenza di condanna".

Art. 2. 1. L'articolo 631 del codice di procedura penale é abrogato. Art. 3. 1. L'articolo 633 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: "Art. 633. -

Forma della richiesta. - 1. La richiesta di revisione é proposta personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Essa deve contenere l'indicazione dei motivi e delle prove che la sostengono e deve essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella cancelleria della Corte d'appello piú vicina a quella nel cui distretto si trova il giudice che ha pronunciato la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna

-2. Nel casi previsti dall'articolo 630, comma 1, lettere a) e b), alla richiesta devono essere unite le copie autentiche delle sentenze o dei decreti penali di condanna ivi indicati.

-3. Nel caso previsto dall'articolo 630, comma 1, lettera d) , alla richiesta deve essere unita copia autenticata della sentenza irrevocabile di condanna per il reato ivi indicato ovvero copia degli atti, dei documenti e l'indicazione delle prove che dimostrano che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato".

Art. 4. 1. Il comma 1 dell'articolo 634 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: "1. Quando la richiesta é presentata fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o da soggetti diversi da quelli indicati nell'articolo 632, ovvero risulta manifestamente infondata, la Corte d'appello, anche d'ufficio, con ordinanza ne dichiara la inammissibilità udite le parti. L'impugnazione avanti alla Suprema Corte di cassazione é trattata con le forme di cui all'articolo 127 con facoltà delle parti di intervenire e spiegare anche difese orali".

Art. 5. 1. Il comma 3 dell'articolo 637 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: "3. Fatta eccezione per quanto disposto dalle lettere e) ed f) del comma 1 dell'articolo 630, il giudice pronuncia il proscioglimento anche solo sulla base di una nuova e diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, motivata con il riferimento a nuovi elementi di prova che, se conosciuti nel corso del procedimento precedente, avrebbero determinato una diversa valutazione, o sulla base di nuove norme e principi giurisprudenziali recenti che se applicati nel corso del procedimento precedente avrebbero portato all’assoluzione dell’imputato.

Art. 6. 1. L'articolo 641 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente: "Art. 641. - Effetti dell'inammissibilità o del rigetto. - 1. L'ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta o la sentenza che la rigetta non pregiudicano il diritto dei soggetti legittimati di presentare una nuova richiesta di revisione della sentenza di condanna".

Art. 7. 1. La lettera b) del comma 2 dell'articolo 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, é sostituita dalla seguente: " b) articoli 192 e 195".

Art. 8. 1. La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale .

Norme transitorie

Art. 1 Entro sei mesi dalla data di pubblicazione della Legge sulla Gazzetta Ufficiale chiunque può presentare alla Corte d’appello competente richiesta di revisione speciale della sentenza di condanna penale che abbia subito dichiarando di trovarsi nelle condizioni previste dalla Legge per ottenerne la revisione. Il diritto spetta anche al coniuge e ai parenti del Cittadino condannato deceduto.
Art. 2 Il presidente della Corte d’appello, entro cinque giorni dalla data di presentazione della richiesta di revisione speciale dispone che la cancelleria richieda la copia degli atti e documenti indicati nella richiesta di revisione speciale in possesso di uffici statali. Gli altri atti debbono essere esibiti, anche in tempi successivi alla richiesta dal ricorrente.
Art. 3 Il processo di revisione viene fissato entro sei mesi dalla data in cui gli atti e documenti richiesti sono pervenuti in cancelleria e si svolge nel rispetto delle previsioni dell’articolo sei della Legge 4 Agosto 1955, n. 848.
Art. 4 L’esecuzione della pena in corso al momento dell’entrata in vigore della presente Legge viene immediatamente sospesa su richiesta di chi ha presentato ricorso per la revisione speciale della sentenza di condanna del Cittadino che ha superato il settantacinquesimo anno di età o sia portatore di patologie che richiedano la pratica di terapie incompatibili con lo stato di detenzione.
Art. 5 I procedimenti in corso in ogni stato e grado di giudizio al momento di entrata in vigore della Legge, originati da dichiarazioni accusatorie di chiamanti in correità, sono restituiti alla fase delle indagini preliminari con invio degli atti al pubblico ministero perché valuti i fatti ai fini dell’esercizio dell’azione penale al dibattimento sulla base dei principi contenuti nella presente Legge.

La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale .

                                    Aprile 2008                                                                     Falco Verde